Violenza della Storia
Una scheggia di cinema finisce sul palcoscenico, il drammone espressionista capeggiato da uno spaesato Raf Vallone si trasforma in parabola moderna sulla violenza della Storia, sul prezzo della pace e sull'ambiguità del perdono, il testimone del protagonista passa a Claudio Bigagli, il cupo bianco e nero di un film capace di dividere la critica nei travagliati anni Cinquanta acquista colore e guarda al Duemila. E' la «metamorfosi» di Il Cristo proibito, che ha debuttato giovedì nella suggestiva piazza del Duomo nell'ambito della tradizionale Festa del Teatro voluta dall'Istituto del Dramma Popolare e che si replicherà fino al 20 luglio. Il «Cristo» fu infatti romanzo e poi soggetto cinematografico targato 1950 e firmato Curzio Malaparte, scrittore della discordia: amato, odiato e soprattutto a lungo snobbato. Contro questa emarginazione si è sempre schierato il regista pratese Massimo Luconi, che sullo scomodo concittadino Malaparte ha costruito eleganti spettacoli, da Casa come me a Malaparte attraverso la memoria. Un viaggio che continua appunto con questo Il Cristo proibito versione palcoscenico, di cui Luconi ha curato anche l'adattamento, assieme ad Ugo Chiti, con la compagnia l'Arca Azzurra.
Eccoci quindi su una specie di set polivalente che, grazie alle scene di Stefania Battaglia, si trasforma da tipica aia a povera casa distrutta dalla guerra, da strada di paese a scarna cornice del dramma che si consuma tra gli oggetti evocativi sparsi ovunque la vecchia radio e la bicicletta, il cassettone scassato e il catino di ferro. Soprattutto le croci, tante e inquietanti, a ricordare il filo rosso che attraversa il «Cristo», l'ossessione del sacrificio dell'uomo che muore per redimere l'umanità e portare la pace, l'ossessione del sangue versato da un innocente perché altro sangue non scorra. Quando Bruno (Claudio Bigagli) torna al suo paese dopo anni di guerra e di prigionia, di sangue ne è già stato versato abbastanza: siamo alla fine degli anni Quaranta, in una piccola comunità che Malaparte colloca tra il Monte Annata e la Maremma. La guerra è finita da un po', i conti in sospeso sono stati regolati e chi è sopravvissuto chiede soltanto di poter finalmente vivere in pace. Come Andrea (Marco Natalucci), reduce assieme a Bruno e pronto a dimenticare. Ma Bruno non ci sta: mentre lui era al fronte hanno ucciso suo fratello partigiano perché qualcuno ha tradito.
E mentre il paese torna lentamente alla normalità, Bruno si rinchiude nella sua ossessione: isolato, incompreso, temuto da una piccola comunità che non può permettersi di riaffacciarsi sul baratro della guerra. Bruno vuole sapere chi ha tradito suo fratello, chiede giustizia e vuole vendetta, indaga e si scontra contro la dolorosa omertà della sua gente. Tutti sanno ma nessuno parla. Sa la madre (una splendida Lucilla Morlacchi), dilaniata tra buon senso e il represso desiderio di vendetta, sa il vecchio padre (Dimitri Frosali). E ancora sanno l'Eremita (Massimo Salvianti), Torquato (Fernando Maraghin), la bella Nella (Patrizia Corti) che ha pagato il prezzo della guerra vendendo il suo corpo in cambio di una manciata di vite, l'Assunta (Giuliana Colzi) e la moglie di Andrea, la pragmatica Teresa (Lucia Socci); sa Maria (Ilaria Daddi) la ragazza un tempo amata e sa Pinin (Andrea Costagli), il colpevole. E proprio mentre il muro del silenzio rischia di sgretoralarsi, si celebra il sacrificio: Padre Antonio (Massimo De Francovich, teso e misurato), il saggio del paese, fa credere a Bruno di essere lui il traditore. Quando la verità salterà fuori sarà troppo tardi: Bruno ha ormai fatto scorrerre il sangue di cui aveva bisogno per placare il dolore, la catarsi c'è stata e non resta che perdonare il vero colpevole.
Alle prese con un testo che, nonostante lo snellimento imposto dall'adattamento, resta denso e cupo, Luconi è riuscito comunque a riproporre l'essenza de Il Cristo proibito attraverso uno spettacolo che può vantare una sua identità. Una regia moderna, attenta alla voce corale, dona infatti a questo collettivo in cerca di salvezza un ruolo dinamico e comprensibile, che va al di là del tempo. Il tocco è leggero, e i grandi temi del perdono e del sacrificio si intrecciano a un plot che rimane cinematografico, scorre e non si compiace della tragedia che pure incombe, si annuncia e si consuma.
CRISTIANA GRASSO, Il Tirreno 16 luglio 1994
|