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Il Giornale - La recensione di Luigi Testaferrata
 

Una fiaba dai Caraibi per Girone il mattatore
Ti-Jean e i suoi fratelli di Derek Walcott, andato in scena in «prima» nazionale nella straordinaria piazza del Duomo di San Miniato al Tedesco la sera del 16, ha dato il via alla 47° Festa del Teatro che, sotto il segno dell'Istituto, del dramma popolare, durerà fino alla sera del 22. Quarantasette anni sono una specie di vita, nei diversi luoghi della città toscana che, di volta in volta, sono stati scelti per memorabili rappresentazioni en plein air. A lume di luna e di stelle sono passati registi come Brissoni, Strehler, Orazio Costa, Squarzina, Franco Enriquez, Zurlini, Krzysztof Zanussi (per il dramma Giobbe di Karol Wojtyla), Trionfo, Bolchi e, quest'anno, Sylvano Bussotti; attori, giornalisti, critici, studiosi.
È probabilmente per tutte queste cose che, arrivato al punto in cui fatti del genere, se non sono già finiti da decenni, cominciano a balbettare, a ripetersi, a girare su se stessi, il teatro di San Miniato pare che entri in una seconda vita e prometta altri cinquant'anni di novità. Ce ne siamo resi conto davanti allo spettacolo giovane, colorato, ballato, cantato, ma sprofondato negli abissi dell'anima dal testo poeticamente superbo di Derek Walcott (premio Nobel per la letteratura, nel 1992) che con la leggenda di Ti-Jean e i suoi fratelli aggiunge a tutta la grande cultura occidentale che dal 1947 in poi ha preso vita nelle piazze e nelle strade di San Miniato, l'ancora intatta, primordiale e saggissima cultura caraibica. L'opera non è nuova, fu rappresentata la prima volta nel 1958, ma nel vecchio mondo teatrale della città toscana ci ha fatto impressione, come se fosse una cosa mai vista, la fusione, teatralmente tradotta in grande spettacolo, dell'apparente felicità della favola (la casa di Ti-Jean, di Gros-Jean, di Mi-Jean e della madre trasfigurata in un primordiale nido, gli animali del bosco che partecipano ai fatti degli uomini, le gare con il Diavolo, la storia di Bolom bambino non nato) con la continua, ossessionante affermazione dell'atrocità della vita che soltanto l'amore riesce a alleggerire. Tutto merito, oltre che di Bussotti (regista, scenografo, costumista, inventore delle luci), oltre che delle bellissime coreografie di Rocco, oltre che delle suggestive musiche originali di André Tanker, di tutta la compagnia con Remo Girone quasi sempre presente nelle parti di Papà Bois, del Piantatore, del Diavolo. Successo strepitoso.
LUIGI TESTAFERRATA, Il Giornale 17 luglio 1993




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