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La recensione di Franco Quadri
 

La recensione

Così cantò il diavolo Remo insieme a Walcott e Bussotti

In tempi di gemellaggi perché non inventarne uno oltreoceanico tra la Toscana e i Caraibi, apparentando l'antico borgo di San Miniato e l'isola di Trinidad? Da una parte il banco offre veraci tradizioni popolari e addirittura la disponibilità dell'ultimo Nobel per la letteratura, il poeta Derek Walcott, a montarle scenicamente nel suo teatro; dall'altra aspetta una Festa del Teatro assetata di nuovo sangue, perché in quasi cinquant'anni di routine è andata perdendo smalto e idee originali di drammaturgia. E allora l' Istituto del Dramma popolare che patrocina quest'iniziativa cattolica, invece di mandare come un tempo i suoi missionari del nuovo mondo, invertendo i termini, accetta di farsi dettare dall'altra sponda l'artistico messaggio.
Vorrei interpretare così, come uno scambio, questa prima rappresentazione europea di Ti-Jean e i suoi fratelli, eseguita non come uno scimmiottamento folcloristico, ma quasi si trattasse di un recupero della novellistica toscana, senza attori di colore, esotismi o corpi dipinti. Del resto a pareggiare il conto con il Nobel importato, ecco in veste di regista, scenografo, costumista, light designer e trascinatore un musicista illustre come Sylvano Bussotti. È stato lui, da uomo di teatro vero a voler puntare su radici nostre, ricordando anche le proprie esperienze di prosa, quando con Romano degli Amidei all'inizio degli anni Settanta proponeva nell'antro romano della Fede goduriose recite naif: per esempio un'edizione ingenua del blasfemo Concilio d'amore di Panizza, dove era il compositore in persona a incarnare il diavolo...
Anche nel testo di Walcott il diavolo ha una parte chiave, nello spirito però delle vecchie leggende popolari. Anzi l'autore s'ispira a una moralità che trova corrispondenza in diverse culture e un precedente in Gerard de Nerval, e distanziandola con una patina affettuosa d'ironia, reso con finezza dalla traduzione di Annuska Palme Sanavio pubblicata da Adelphi. Maturata nel bosco, e la storia di una sfida, o di un confronto tra il diavolo e l'umanità, rappresentata dal giovanissimo Ti-Jean e dai suoi fratelli, destinati questi due a muovere soltanto i primi passi prima di soccombere, fiduciosi come si dimostrano rispettivamente nella forza bruta e nelle sofisticazioni intellettuali. La vicenda ripercorre ritualmente gli stessi sentieri che conducono a incontrare il maligno sotto la maschera di buon vecchio e poi di un proprietario di piantagioni e a sottoporsi alla sue domande iniziatiche. Ma la terza volta, davanti alla furbizia lampeggiante buon senso del piccolo eroe, è il demonio a perdere le staffe e la scommessa, scoprendo con sollievo ciò che i terrestri «chiamano sconforto, debolezza».
In una pagina toccante Walcott lo umanizza e gli fa ricordare con nostalgia quand'era il figlio viziato di Dio: «eravamo una sola luce il vecchio e io, tanto che ancora oggi c'è qualcuno che non riesce a distinguerci». Il sorriso serve ad aggirare le trappole dell'ovvietà e, grazie al gusto affilato delle parole, a rendere malizioso anche il finale dove il bambino mai nato, ovvero l'aborto, messaggero del maligno, ottiene il premio di assaporare la vita.
Del resto l'allegoria viene versata in uno schema di un musical fiorito di coreografici animali parlanti, con le musiche di Andre Tanker, che perdono nella esecuzione italiana un po' di esotismo sincopato a profitto di una melodiosità un po' dolciastra. Ma Bussotti si salva dalla melensaggine buttandola in parodia, e tipizza i personaggi con riferimenti alla lirica, al fumetto, anche alla cronaca, perfino a quella politica di oggi. Così il suadente e crepuscolare Remo Girone, visto alla prova anche nel canto, cita la propria immagine televisiva, quando provoca il terrore col semplice atto di togliersi la maschera: per essere il diavolo gli basta mostrare il suo volto da bravo ragazzo ormai legato al «cattivo» della Piovra.
Intanto la mater dolorosa di Victoria Zinny spipazza, l'aborto di Massimo Fedele (un fedelissimo di Bussotti) esce da un'avvolgente nuvoletta con un saltellante vestitino alla marinara sul corpaccione robusto, tra i costumi riciclati di opere dei tre fratelli (i bravi e convincenti Gianni De Feo e Leandro Amato, assieme a Antonello Chiocci), con un contorno di ranocchi, grilli, lucciole, uccelli, diavolini e una diavolessa soubrette: una popolazione divertente e divertita con gusto della recita casalinga che trae la propria vitalità dall'entusiasmo e dai limiti goliardici. Ancora da citare, tra gli altri, Antonio Fabbri, Nadia Perciabosco, Alessandro Sarno, Biancamaria Lelli.
Gran successo e via per la tournée invernale.

Franco Quadri, La Repubblica, Roma, 18/19 luglio 1993




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