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Conversazione a tre su
 

Machiavelli e Gesù Cristo: “Una partita a scacchi”

 

Conversazioni con Elena Bono e Gianmaria Mazzini (suo marito) sul dramma “La testa del Profeta”. Spunti di attualità e di riflessione per la nostra vita di oggi.

 

Questa è la storia di una serie di incontri che ho avuto con la scrittrice ElenaBonoe suo marito Gianmaria Mazzini nella loro casa a Chiavari. Ripercorrendo la vicenda storica della decapitazione di Giovanni il Battista per ordine del Re Erode,che doveva onorare la solenne promessa fatta alla giovane Salomè dopo la sua danza “innocente”,ritroviamo il filo conduttore dell’umano intrigo politico e delle sue logiche miopi ed ottuse,incapaci di aprirsi alla luce della Verità e della vera libertà ,testimoniate solamente nell’Amore supremo della vita,morte e resurrezione del Cristo.

 

E. B.

Se posso dire quello che intendevo fare scrivendo “La testa del Profeta” è partire da una proposizione machiavellica e, come cristiano, rispondere a Machiavelli. Questo è importante.

Questo è quello che conta: è una risposta cristiana a Machiavelli.

Machiavelli dice che tutti i profeti armati vinsero; anzi, lui dice “vinsono”, e tutti i disarmati “ruinorono”. E lo precisa e dice: armati come Mosè e disarmati come il Savonarola. Adesso io chiedo al Machiavelli: Gesù Cristo era armato o disarmato? Machiavelli non risponde perché aveva paura di Gesù. Eh, è una partita a scacchi, fra Machiavelli e Cristo, c’è poco da dire.

Io oso dire che Gesù era disarmato. Ora, Gesù ruinò? No, non ruinò! E come ha vinto? Ha vinto attraverso la Croce, cioè attraverso la sconfitta. E’ a questo che ho voluto rispondere cristianamente: che i profeti disarmati possono vincere più di quelli armati, perché Gesù non aveva armi, anzi dalle armi è stato ucciso. Era l’arma dello spirito che contava, e conterà sempre, nonostante tutto. Nonostante tutte le negazioni che anche noi, individualmente, facciamo ogni giorno del nostro cristianesimo.

Questo è il coraggio del cristiano: dire che attraverso la Croce, attraverso il ludibrio, si vince. Dico ludibrio perché la croce spettava agli Spartaco, ai servi, agli schiavi fuggiti, o ai traditori dei loro padroni, e ai tempi dell’Impero, lo racconta bene Tacito, in una casa nobile venne ucciso il padrone, e tutti i servi, che erano ben 130, furono crocifissi. A questo punto anche il Senato di Roma si ribellò e disse “No, non è assolutamente razionale tutto questo”. Ecco le tragedie della storia, il sangue che scorre nella storia.

E’ questo che ho voluto dire. Ci sarò riuscita? Comunque l’ho scritto in questo spirito.

S. V.

I personaggi del dramma sono storici, ma incarnano personalità e dilemmi tipici anche dei giorni nostri. Parlami della figura di Salomè in questa opera? E’ quasi il personaggio chiave della tragedia.

E. B.

Salomè sai che cosa è? E’ il super Machiavelli perché mette in difficoltà tutti. Vince perché è soltanto una piccola volpe e gioca a freddo la sua partita, con quel suo mellifluo: “Mammina, mammina. La tua povera testa, mammina”. Alla fine la fa diventare pazza! E la trionfante Erodiade, tutta carne, che cercava di vincere attraverso la carne, e poi attraverso quella che lei giustamente chiama “la vostra vecchia, sporca, lurida politica”, perché ha capito che bisogna politicizzarsi per vincere, anche lei viene sconfitta. E vince la piccola Salomè, cui giustamente Cusa dice: “No No, non metterti dei vestiti sfarzosi; non metterti la cintura di diamanti di tua mamma, mettiti il tuo vestitino bianco e in testa la tua coroncina di rose”.

G. M.

E’ Cusa che parla così a Salomè. Lei prende suggerimenti da Cusa. E’ furba, ma Cusa è ancora più furbo. Lei avrebbe ballato la danza del ventre, ma Cusa le suggerisce una danza diversa.

E. B.

Una falsa innocenza! E poi c’è anche il dramma dell’amore deluso di Daniele, che era innamorato di Salomè credendola una fanciullina tutta dolcezza e roselline.

S. V.

Sì è sconcertante, rappresenta un cinismo sconcertante.

E. B.

Un cinismo politico.

S. V.

Che ha le sembianze di una fanciulla e della sua finta innocenza.

Elena B.

Sì.

S. V.

Ed Erode? A pensarci, mi sembrano tutti personaggi attualissimi.

 

 

E. B.

Eh! Certo!: Erode rappresenta il toro,il principio maschile portato all’esasperazione che viene sconfitto da questa piccolina cui lui dice: “Che cosa ti posso offrire? Metà del mio regno?”. E lei: “Per carità!”. Lei non vuole niente. Ma invece vuole tutto! Vuole essere padrona del destino degli altri.

S. V.

Salomè come continuerà la sua vita?

G. M.

Sarà la favorita di Erode mentre la povera disgraziata di Erodiade sarà messa da parte e diventerà pazza.

S. V.

Salomè rappresenta forse una certa gioventù di oggi che sta venendo allo scoperto: ragazzi, come dici spesso tu, annoiati, forse perché senza scopo e senza verità. Senza la ricerca della verità , di un qualcosa di supremo e di assoluto in senso positivo, in realtà si rischia di cadere in una specie di baratro di  noia mortale, per uscire dal quale si è disposti a fare qualsiasi cosa.

G. M.

Salomè aveva la mira del potere. Non è che si annoiasse. Aveva in mente di prendere il posto della madre.

S. V.

Si, ma quale era il suo ideale di vita?

G. M.

Non aveva ideale, voleva, appunto, il potere.

S. V.

, d’accordo. Ma la sua è una visuale ristretta. In fondo che scelta fa? Una ragazza giovane, che aveva anche la possibilità di vivere un amore vero con il giovane Daniele, sceglie di sostituirsi alla madre, che pure vede finire ben male! E’ sedotta dall’idea del potere pur vedendo, proprio nella sorte della madre, dove porta quella strada: alla miseria più assoluta.

G. M.

Si, tuttavia Salomè crede che per lei sarà diverso. Che lei riuscirà a gestire e dominare le cose in modo diverso. Un po’ come forse succede a certi ragazzi quando iniziano a drogarsi: pensano che a loro non succederà come agli altri. Che loro riusciranno a smettere quando vogliono.

S. V.

E’ vero. Eppure Salomè non dimostra di avere una vera intelligenza altrimenti avrebbe notato come stava finendo sua madre e ci avrebbe riflettuto.

G. M.

Si, non si tratta di intelligenza. Ma di furbizia.

S. V.

Comunque trovo che oggi molti giovani rischiano di finire come Salomè perché non credono in niente, non hanno più ideali, sono disillusi. Perché aspirare solo al potere significa pensare che al di fuori di esso non ci sia nulla per cui valga la pena di impegnarsi. Io trovo che sia una visione povera della vita.  Non c’è solo quello e non ti accorgi di quello che la vita può darti. E allora segui il potere, l’apparire, l’andazzo generale. Oggi molti ragazzi seguono molto l’apparire.

G. M.

La differenza è fra l’essere o l’apparire.

S. V.

Appunto, per cui questo tema è assolutamente attualissimo. Oggi mi sembra che viviamo in una società che tende a trasformare i dis-valori in valori o, peggio, a non fare più distinzione alcuna fra ciò che è bene e ciò che è male. Tant’è che comportarsi bene, osservare le regole, non è più considerato necessariamente qualcosa di buono e di giusto, ma esattamente il contrario. Pur di attirare l’attenzione e vedersi finire su un video o sui giornali, ci sono ragazzi giovanissimi che sfasciano scuole o stazioni ferroviarie, o picchiano dei barboni, e lo fanno perché pensano di fare qualcosa di grande.

G. M.

Appunto, per sentirsi qualcuno.

S. M.

Quindi anche Salomè cade in questa trappola…

E. B.

Eh sì!

S. V.

…seguendo la strada della madre. E anche se pensa che a lei non succederà così, ossia di perdere, tuttavia è vittima di una illusione. La realtà non è quella ed è una visione della vita davvero limitata.

E. B.

Disperata!

 

S. V.

Sotto sotto c’è la disperazione. C’è una povertà interiore ed intellettuale spaventosa. Quindi io trovo che, a rifletterci bene, questo testo riguarda proprio il rischio di cinismo di molti giovani di oggi e della società di oggi. Comunque, come finisce il dramma? Qual è l’ultima scena?

E. B.

Salomè passa disdegnando Daniele. Daniele viene esortato da Aba Dima, il giullare di corte: “Andiamo Daniele, andiamo dal cugino del Battista, andiamo da Gesù”.  E Daniele si rivolta: “No perché anche Lui sarà macellato come il Battista”. Questo è il destino dei profeti. Ecco sempre il motivo centrale: il profeta armato e il profeta disarmato. “Ecco, cosa vuoi, che io vada, che io mi illuda che per Lui non sarà così? Mentre per Lui sarà così. Per Lui, che fa miracoli, non ci sarà neppure il più piccolo miracolo che Lo salverà”. E Aba Dima si mette a piangere: “Ma io non voglio niente. Voglio solamente che tu, bambino mio, sia sempre vivo, giovane,  con un avvenire davanti”: E però Daniele accetta il destino del profeta disarmato e dice: “Va bene, andiamo”. E una voce grida: “Nel silenzio, vento vento dal deserto”. Finisce così. …

Vanno a diventare discepoli di Gesù. Vanno alla Passione.

Perché Pascal ha detto questo, che bisogna vegliare con Gesù nell’Orto degli Ulivi fino alla fine del mondo. Questo diceva. Per cui Machiavelli va chiuso e superato con Pascal.

S. V.

Finchè siamo sulla terra…è con la morte che c’è una liberazione vera e definitiva dal dramma, vero Elena?

E. B.

Io so solo una cosa. Che mi fece molta impressione quella frase del Machiavelli quando parla del Principe come di un Cristo alla rovescia, cioè uno che si sacrifica e butta la sua anima per il bene del mondo e dice che il Principe deve entrare nel male “necessitato”. Cioè, quando il Principe non vede altra strada, deve ricorrere al male, all’assassinio, alla menzogna, al furto, a tutto, alla prepotenza. Questi sono i grandi drammi con  cui l’uomo deve fare i conti e Machiavelli è uno scrittore scomodo, ma ci mette proprio la mano al bavero e ci scuote: rispondi un po’ qui? I politici lo sanno.

S. V.

Sembra proprio che l’uomo sia come condannato a fare il male. Anche la politica che nasce con le migliori intenzioni è come condannata a fare dei misfatti in qualche modo. La cosa migliore cui può aspirare la politica, forse, è fare il male minore, ma non riesce veramente a fare il bene, perché l’uomo è decaduto, perché noi viviamo in un mondo, in una realtà che sembra soggiogata dal male.

G. M.

E’ dai tempi del furto della mela.

S. V.

Si, ma mi stavo chiedendo se, sul piano politico, un credente cristiano possa effettivamente aspirare a fare della buona politica.

G. M.

Sul piano politico è patetico.

S. V.

E’ come se il credente non potesse agire sul piano politico e, quindi, sociale.

G. M.

Machiavelli è servito a farci aprire gli occhi.

S. V.

Infatti poi i conti non tornano nella società perché non si vede questo brillare di valori, di leggi, di comportamenti cristiani. E allora, mi chiedo: che tempi stiamo vivendo adesso? Rispetto a Machiavelli, Pascal. A quale periodo del passato paragoneresti questi tempi di oggi? Questo che momento è? Della confusione, del nulla?

E. B.

Il maligno è molto intelligente perché studia il suo nemico. Diabolus vuol dire accusatore, calunniatore. E’ colui che ci aspetta davanti al tribunale di Dio per dire: “questo è il tuo nemico perché ha fatto questo, quest’altro e quell’altro”. E se la Madonna non ci difende, noi siamo perduti. Questa è la situazione nostra. Per cui non c’è che da dire: “Mater, misericordia”. Nell’Ave Maria diciamo: “Assistimi nell’ora della morte”.

S. V.

E’ vero. Ma tu che conosci bene la storia, vedi un periodo precedente a questo in cui si possano fare delle similitudini con quanto stiamo vivendo oggi? Cosa caratterizza i nostri tempi? La lotta c’è sempre stata. Il combattimento fra il bene e il male c’è sempre stato in ogni epoca storica e generazione. Ma questo che stiamo vivendo oggi, che momento è? Cosa sta trionfando adesso?

E. B.

Eh, cara mia. Ho paura che siamo post-cristiani. Ho paura…Sono grata a Giovanni Casoli perché mi ha allineata a Pasternak, il quale ebbe lo stesso pensiero che ho avuto io, e cioè: se Gesù è un muro che divide in due la storia, è possibile scavalcare questo muro? Mi sono posta questa domanda e mi sono risposta così: forse sì, ma cadiamo nel nulla, nella “non-storia”.

© Stefania Venturino

 




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