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Toscana Oggi - La recensione di Fagioli
 

Il doppio dilemma di San Miniato
Il «dilemma del prigioniero» è un gioco di ruolo di cui la diplomazia fa largo uso e che David Edgar, voce autorevole del teatro politico britannico contemporaneo, propone come titolo e come spunto per la pièce scritta nel 2001 e andata in scena in prima italiana a San Miniato per la cinquantottesima Festa del teatro organizzata dall'Istituto del dramma popolare.
Edgar immagina che sul «dilemma del prigioniero» (due uomini arrestati, rinchiusi in celle diverse, a ciascuno dei quali viene detto che l'altro lo ha tradito) si confrontino i partecipanti a un seminario sulla soluzione pacifica dei conflitti. Da una parte un irlandese e una inglese, dall'altra due americani e una finlandese, tutti impegnati nella simulazione di un negoziato di pace. Non c'è invece simulazione nello scontro immaginato dello scrittore inglese tra la Caucasia, presunta ex repubblica sovietica, e la Drozdania, un'enclave a maggioranza islamica che reclama a sua volta l'indipendenza. Grazie alla mediazione di Gina Olsson, la donna finlandese del seminario intemazionale, alcuni delegati caucasici e drozdani accettano di partecipare a un colloquio informale e segreto nel Paese scandinavo. Ma l'accordo salterà all'ultimo momento, per le sfumature di una parola, dando il via ad una sanguinosa guerra civile. E quando i due contendenti torneranno al tavolo negoziale, lo faranno su una portaerei americana, ma il progetto di uno stato democratico multietnico naufragherà davanti alla più facile soluzione della secessione e della pulizia etnica. «Il testo, mettendo in scena un ipotetico scontro tra due etnie e i tentativi di risolverlo attraverso il dialogo tra le parti in causa, fa riferimento - spiega Salvatore Ciulla, direttore artistico del Dramma popolare - ai numerosi scenari di guerra contemporanei, alle violenze, agli atti di terrorismo che purtroppo caratterizzano la nostra attualità, mostrando come la semplice logica dei modelli teorici si scontri con la complessità delle cause dei conflitti. Allo stesso tempo, però, evidenzia come sia necessario continuare a impegnarsi per la pace nonostante le difficoltà e i fallimenti che purtroppo costellano i vari tentativi di soluzione. Non c'è altra via se non quella del dialogo e del confronto». Il testo di Edgar, nella traduzione di Sara Soncini, è dunque interessante e di grande attualità e la messa in scena sanminiatese con la regia di Maurizio Pania e le scene di Daniele Spisa, lo valorizza appieno coinvolgendo lo spettatore con un'azione drammaturgica che si svolge davanti e di lato al pubblico ricorrendo non solo alle tecniche teatrali, ma anche a quelle cinematografiche e televisive: proiezioni di filmati, riprese in diretta e grandi schermi. Molto bravi gli attori (da Bruno Armando a Silvia Budri, da Andrea Buscemi a Maria Paiato fino alla simpatica Alice Spisa) alle prese con un dialogo senza tregua e con le lingue inventate da Edgar. Ma cosa c'entra Il dilemma del prigioniero con San Miniato? O meglio: cosa c'entra un testo del genere con il teatro dello spirito e con la sua naturale cornice medievale di Piazza del Duomo?
Gli organizzatori rispondono che «la Festa del teatro a San Miniato ha sempre proposto opere teatrali di ispirazione cristiana che contribuissero a dare voce ai problemi e alle inquietudini dell'uomo e con questa scelta ci si è posti l'obiettivo di favorire una presa di coscienza su uno degli aspetti più drammatici del mondo contemporaneo».
Il direttore artistico Ciulla parla addirittura di un testo che spinge alla costruzione di una società più solidale e più pacifica e che quindi «in qualche misura realizzi già adesso quello che sarà il Regno di Dio». Ad essere sinceri, il lavoro di Edgar non ci sembra aperto a particolari speranze così come non ci sembra rispondere a quel teatro impegnato sulle «inquietudini spirituali del nostro tempo» invocato a suo tempo da don Giancarlo Ruggini. Basta scorrere l'elenco delle precedenti edizioni della «Festa», dal 1947 ad oggi, imbattersi in nomi come Eliot, Bernanos, Turoldo, Fabbri, Chiusano... per capire che il teatro dello spirito è un altro. E oltre il testo, c'è il discorso della messa in scena: bella e suggestiva, ma che poteva essere realizzata ovunque. Non a caso i monumenti della piazza, che da sempre fanno da sfondo naturale (il Duomo, il palazzo vescovile...), sono scomparsi dietro le grandi scenografìe che stringono lo spettatore da tre lati come in un teatro al chiuso.
Il «dramma» di San Miniato, insomma, non può rinunciare alla sua storia e alle sue caratteristche: sarebbe la fine.

Andrea Fagioli, Toscana Oggi, 1 agosto 2004




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