Il San Francesco di Zanussi predica girando in moto
Una scena scarna, metafisica nella sua essenzialità. Un altare sulla sinistra e un banco con delle stoffe sulla destra: questi gli elementi visivi e scenografici che Luigi del Fante ha creato per L'uomo che vide-Francesco D'Assisi, rappresentata ieri al Festival di San Miniato in anteprima nazionale. A portare sulla scena il romanzo di Joseph Delteil è stata una compagnia di attori affiatata. Il testo di Delteil, non privo di elementi iniziatici, raccontava la vita del santo umbro da una prospettiva contemporanea. Chi è l'uomo che vide? Siamo noi, sembra dirci Zanussi, regista del lavoro. La vera differenza sta infatti nel riproporre la storia del Santo in modo mediato da tutti gli avvenimenti storici e artistici accaduti dal XII secolo a oggi. Un testo superbo che coagula in maniera impressionante le esperienze teatrali. Un lavoro artistico difficile, di ampio respiro, una pièce metateatrale in cui ci si imbatte facilmente con Pirandello, Molière, Artaud, Checov, i misteri medievali, il music hall. Ma andiamo con ordine. In realtà il testo non rappresentava la vita di San Francesco in quanto tale, ma, piuttosto, l'incarnazione della figura del santo nei panni di un attore. Impresa difficile quella di Zanussi che ha affrontato la messinscena con piglio da maestro e da ottimo regista.
Eppure, sono mancate alcune finezze. Ottima era ad esempio l'idea di far recitare il padre di San Francesco, il bravo Maggiorino Porta, alla maniera dell'Avaro di Molière; ottimo anche il modo di costruire i rapporti religioso-amorosi tra Francesco, Chiara e Giacoma con l'ottica del famoso triangolo borghese della drammaturgia ottocentesca. Insomma, lavorare sul testo di Delteil per fornire una vasta gamma di archetipi teatrali è stato un vero e proprio coup de theatre. Tuttavia l'uso della moto in scena (il cavallo di San Francesco) non è un espediente per niente nuovo. Basti pensare all'edizione del Faust firmata da Giorgio Strehler al Piccolo di Milano.
Un discorso a parte va invece fatto per il cast dello spettacolo. La compagnia, ad onor del vero, non era ai suoi massimi livelli. Sarà stata l'aria della «prima»; il motore che si è inceppato costringendo Maximilian Nisi a un'entrata in scena di recupero; il cellulare di una signora del pubblico che ha squillato e al quale la dama ha prontamente risposto, ma certo questi incresciosi incidenti non giustificano la mancanza di memoria da parte di chi recita. La rappresentazione comunque è filata liscialo stesso. Maximilian Nisi (San Francesco) è passato da una scena all'altra col massimo della tranquillità, anche se il suo santo era troppo lontano da quell'immagine di «iniziato» che invece doveva dare. Carlo Simoni (L'uomo che vide) è stato perfetto nell'interpretare con quel senso di distacco e ironia teatrale la figura dell'uomo qualunque e ha guidato con estrema sicurezza la compagine della serata. Del resto questa figura, a tratti vagamente stanislaskiana, suggeriva situazioni e soggetti come nel film La Ronde. Molto bravo anche Antonio Pierfederici (il prete di San Damiano) che ha profuso al suo personaggio una dose di surreale veramente gradita. Superba la prova della bella Sara D'Amano che ha regalato al pubblico classe e bravura. Lo spazio della piazza del Duomo è stato pienamente sfruttato: attori in scena e presenze che si affacciavano discrete dal Vescovado. Molto belli i costumi. Applausi.
SIMONE INNOCENTI, Il Giornale, 18 luglio 1998
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