Il viaggio di Parsifal vero come al cinema
La ricerca del sacro Graal passa da San Miniato. Artefici l'Istituto del Dramma Popolare e il regista polacco Krsysztof Zanussi. La scelta, che celebra i cinquant'anni di vita di questo tradizionale appuntamento con il teatro dello spirito, è caduta su Il re pescatore testo mai rappresentato in Italia del francese Julien Gracq, refrattario a qualsiasi tentazione mondana e di successo editoriale, noto per aver rifiutato nel 1951, caso unico, il prestigioso Premio Goncourt. La storia del Graal, della coppa che raccolse il sangue di Cristo sulla croce, è quella della ricerca di sé. A questo tema di inesauribile valenza simbolica, Julien Gracq dedica un repertorio di imbarazzante conformismo. Il re Amfortas, custode del Graal ambiguo e perfido; Parsifal cavaliere senza macchia e senza paura, libero e romantico; Kundry, signora del castello, innamorata e trepida; l'eremita saggio, ma invano. Un bozzetto medievale che non supera la facciata del naturalismo. Strano per uno scrittore che parte dal simbolismo e che naviga in acque mistiche. In questo sogno senza fantasia, ancorato al disegno di una rivelazione senza visioni, la regia di Zanussi cerca invano un equilibrio fra ragioni del cuore, pulsazioni psicoanalitiche ed eloquenza visiva.
Da buon regista cinematografico, autore negli anni 70 di esemplari parabole esistenziali (la non libertà dell'Est dava allora buoni frutti), come «Illuminazione» e «La struttura di cristallo», Zanussi divide lo spazio in tanti set, moltiplicando i punti di osservazione e le prospettive dinamiche. Tutta giocata sul rapporto interno esterno, le stanze del castello, gli spalti, la radura dove arriva Parsifal a cavallo, uno scorcio fra gli alberi improvviso dove si materializza la sfida fra due cavalieri, la scenografia disegnata (come i costumi) da Aldo Buti, avvolge la piazza e il pubblico.
Zanussi sfrutta al meglio lo spazio, un grande teatro di posa ricostruito che si integra perfettamente nelle strutture architettoniche della piazza. La suggestione visiva, attraversata dalle luci di Andrea Travaglia, è la cosa migliore dello spettacolo, insieme alla prova di Giulio Brogi. Nonostante il malore che lo aveva colto nei giorni precedenti obbligandolo al riposo, Giulio Brogi è un re pescatore solenne e fragile, impreziosito da slanci e rabbie improvvise, da ombre e malinconie. Con lui spicca il vecchio eremita di Riccardo Garrone, la baldanza giovanile del Parsifal di Vincenzo Bocciarelli, l'energia pirotecnica del giullare di Francesco Meoni e la bellezza defilata e febbricitante di Katia Ciliberti. A loro e al regista i calorosissimi applausi del pubblico.
GABRIELE RIZZA, Il Tirreno 22 luglio 1996
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