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Il Corriere della Sera - La recensione di Magda Poli
 

Una fiaba da Nobel sotto il sole dei Caraibi
Assistere a una prima europea di un testo di un Premio Nobel è di per sé cosa rara e ghiotto boccone. Il prezioso evento si è verificato alla Festa del Teatro di San Miniato dove Sylvano Bussotti ha curato, come regista, scenografo e costumista, la messinscena di Ti-Jean e i suoi fratelli, protagonisti Remo Girone, Victoria Zinny e un gruppo di giovani attori.
Derek Walcott, Nobel per la letteratura nel '92, scrisse quest'opera alla fine degli anni '50. Oltre che raffinato poeta, l'autore è un importante drammaturgo e fondatore nell'isola caraibica di Santa Lucia, dove nacque 62 anni fa, di una compagnia teatrale e, a Trinidad, del Theatre Workshop.
Ti-Jean e i suoi fratelli è una fiaba con canti e musiche, o meglio, una sorta di moralità medievale dove il Male combatte col Bene, che alla fine trionfa, il tutto in un'isola caraibica dove «il Sole stanco dell'impero, tramonta». Il mondo di Walcott è l'incandescente punto di convergenza storico dei fantasmi di quattro imperi (spagnolo, inglese, francese e olandese) e dei miti dell'Africa qui giunta in catene. La sua poesia è giocata su un complesso e affascinante registro di lingue e culture dove la religione si mescola alla magia e all'animismo, la comicità al mito per evidenziare un universo in cui regna la capacità di «scovare la gioia anche nel dolore».
Ti-Jean e i suoi due fratelli vivono con la vecchia madre ai margini di un bosco popolato, da diavoli, grilli, rane, uccelli e lucciole parlanti. Un giorno il Bolom, lo spirito dei bambini mai nati, annuncia che il Diavolo vuole sfidare i tre giovani: chi non riuscirà a fargli provare «la rabbia e ogni umana debolezza» verrà mangiato. Il vincitore, invece, non conoscerà più la fame e la povertà. Il Diavolo, bianco come i colonizzatori, si mangerà il forzuto Gros-Jean, il filosofeggiante Mi-Jean ma dovrà cedere al più piccolo Ti-Jean appunto, dotato di un ingenuità disarmante e di una fede semplice e incrollabile.
Come in una favola dei fratelli Grimm la foresta, dove i tre incontreranno il Diavolo travestito da vecchio, si stende al di là dell'universo familiare. È il luogo in cui si fanno incontri straordinari, dove i giovani, una volta posti di fronte ai loro destini, si trasformano e i bambini «crescono».
Della fiaba, che pur nella sua semplice struttura riflette il complesso universo culturale e fantastico di Walcott, Sylvano Bussotti, che si avvale della buona traduzione di Annuska Palme Sanavio e delle belle musiche di André Tanker, dà una lettura di superficie orizzontale, che si concretizza in un «varietà» un po' troppo ingenuo. Solo una creatività più libera, scatenata e fresca avrebbe potuto gettare un ponte verso i ritmi, i colori e la fantasia della scrittura di Walcott e la vitalità dirompente della sua spiritualità.
Certo è che lo spettacolo vive di una sorta di allegria interna che trova energie e slanci nella bravura di Remo Girone alle prese con un multiforme Diavolo, abilmente giocato sulle corde, per lui non consuete, del grottesco. Va segnalata la buona prova di Leandro Amato (Mi-Jean) e Gianni De Feo (Ti-Jean) e, più in generale, la duttilità e la freschezza dei giovani interpreti di diavoli e animali.
MAGDA POLI, Il Corriere della Sera 17 luglio 1993




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