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Sipario - La recensione di Mauro Martinelli
 

IL TEATRO  DELLO  SPIRITO
L'Istituto del dramma popolare di San Miniato, da quest'anno trasformatosi in fondazione per continuare a diffondere al meglio la sua ormai antica tradizione teatrale di ispirazione cristiana, ed ampliare ulteriormente le iniziative collaterali allo spettacolo che costituisce il clou della festa del teatro, ha presentato, in prima rappresentazione assoluta, I Templari, di Elena Bono. Testo complesso, costruito di strutture e sovrastrutture, sceniche e dialogiche, in cui si disvela lo spaccato dell'ordine dei Templari, cavalieri custodi del Santo Sepolcro, fondato nel 1119 per garantire ai pellegrini un aiuto in Terrasanta e soppresso dal Concilio di Vienna nel 1312 dopo che il re di Francia, Filippo IV il Bello, aveva fatto arrestare qualche anno prima tutti i cavalieri ed avviato nei loro confronti un processo per eresia.
L'impianto scenico, anche quest'anno inserito nella magnifica Piazza della Rocca di San Miniato alto, riproduce il maniero dei Frangipane: al centro, due ambienti a vista, uno superiore (la stanza in cima alla torre) e uno inferiore (le cucine), mentre ai lati si trovano due celle: a destra quella dei prigionieri templari, a sinistra i delinquenti comuni. Le musiche dal vivo scandiscono i ritmi dello spettacolo e l'arrivo degli attori. La vicenda si sviluppa essenzialmente sulla scena superiore, dove si incontrano l'Uomo Nero e il Precettore, prigioniero introdotto dal carceriere Pocapaglia, mentre nell'ambiente inferiore si assiste all'agonia di Amadeus Von Waldenburg, novizio ferito a morte per aver tentato di bloccare l'arresto di tutti i suoi confratelli, assistito dalle cure amorevoli della Gisa, donna del popolo, aiutata da Rocco da Sezze, scudiere templare, e dal piccolo Alì. L'Uomo Nero, rappresentante della nobiltà, figlio non riconosciuto di re, la cui parte superiore del viso è nascosta dietro una maschera dello stesso colore, intende carpire i segreti dei Templari, e per ottenerli offre in cambio la libertà dei prigionieri, mentre il precettore, rappresentante del clero, con i paramenti del proprio ordine ridotti a brandelli a seguito della cattura, cerca di parare i colpi dialettici, offerti in lingua aulica, mentre sulla scena sottostante si parla in lingua volgare, inframmezzata dai dialetti dell'Italia centrale. L'alternarsi di colpi di fioretto che lasciano intravedere squarci di cieca violenza fa da contrappunto alla lenta agonia di Amadeus, a fianco del quale i personaggi, sentendo vicina la morte, offrono senza ritegno la propria parte più autentica, fatta di misera grandezza o di cinica piccineria. In scena vanno, insieme, la politica dei massimi sistemi e quella delle lotte da pollaio, entrambe viste come ineluttabile volontà di predominio sul nemico, con i mezzi che il censo o la lotta hanno messo a disposizione di ciascuno dei contendenti. Ancora una volta l'esperienza scenica di San Miniato, giunta quest'anno alla sua LVI edizione, regala uno spettacolo di grande interesse, imbevuto di speculazioni, giochi intellettuali e domande di fondo sul destino dell'uomo. È un teatro dello spirito, che si fa coscienza critica sulla scorta di testi celebri (negli anni più recenti ricordiamo Melville, Chesterton e Malaparte) ma anche di autori ancora poco frequentati, come la poetessa Elena Bono, della quale due edizioni fa era stato messo in scena Le spade e le ferite, per la regia di Ugo Gregoretti. Forse per la sua lunghezza, forse per la scarsa assiduita dello spettatore con un curatissimo uso della lingua medievale, forse ancora per la mancanza di momenti in grado di alleggerire la ponderosità della vicenda, lo spettacolo soffre nel finale di qualche passo a vuoto. In compenso, una regia funzionale ed una recitazione ben calibrata offrono uno spaccato storico quanto mai reale. Su tutti, l'Uomo Nero di Umberto Ceriani, il precettore di Marco Spiga e il Rocco di Massimo Foschi, oltre al piccolo Alì di Federico Orsetti che non ha sbagliato un'entrata. Di contro una Gisa, impersonata da Maria Elena Camaiori, talora eccessiva nella propria enfasi recitativa.
Mauro Martinelli, Sipario, Milano, novembre 2002




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