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Famiglia Cristiana - La recensione di Carlo Maria Pensa
 

Anche Zanussi cerca il Santo Graal
La storia si fa poesia, l'avventura diventa un atto di fede. Mai dovrà compiersi la ricerca del Santo Graal, il calice dell'ultima cena di Cristo nel quale, poi, Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue del Redentore crocifisso. Mai dovrà compiersi perché la ricerca del Graal è, per l'uomo, la ricerca di sé stesso, la lunga ricerca della verità oltre la quale è il bene dell'Eterno. Quante volte, nei secoli, è stata raccontata l'avventura dei Cavalieri pronti a sfidare la morte per la beatificante visione dell'aurea coppa? S'affollano i personaggi dell'impresa che Chrétien de Troyes cantò nel Perceval roman e Wagner esaltò con le note sublimi del Parsifal. Ora Il re pescatore di Julien Gracq, scritto quasi cinquant'anni fa, è arrivato finalmente in Italia, nella incantata piazza del Duomo di San Miniato, a ricordare il mezzo secolo dell'Istituto del dramma popolare da sempre attento alle voci di un Teatro di alta ispirazione spirituale. Ma lo spettacolo diretto da Krzysztof Zanussi, lo stesso regista che, sempre quassù, undici anni or sono ci aveva fatto conoscere, con il Giobbe, un commediografo di nome Karol Wojtyla, non ha avuto la gravità di un pensoso dramma biblico. Se è vero, come dicevo, che attraverso la medievale leggenda del Graal la storia si fa poesia, è anche vero che la fede s'è fatta avventura. Il castello di Monsalvage, dove è conservato il Calice della Passione, è teatro delle fosche trame del mago Clingsor e delle degradate passioni di Amfortas, il re pescatore che sulle rive del lago di Brambane, infatti, durante una partita di pesca, incontra il giovane, ardimentoso cavaliere Perceval.
E benevolmente lo ospita, disposto - dice - ad aiutarlo nella ricerca del Graal. Ma, come lascia intendere il titolo originale dell'opera di Gracq, Amfortas è pécheur (peccatore) oltre che pécheur (pescatore). La ferita sempre sanguinante che gli procurò la lancia usata per colpire il costato di Gesù, è il segno della sua indegnità. Ne potrà guarire soltanto se non più re, lascerà ad altri la contemplazione del Graal che conserva senza poterne trarre beneficio. E il nuovo re sarà Perceval, l'incontaminato. I rigori letterari di Gracq si sono aperti, con la regia di Zanussi, nei tempi e nei modi di una lettura appassionata, senza risparmio alle possibilità offerte dagli spazi felicemente sfruttati dalle scene (e dai costumi) di Aldo Buti. Luoghi diversi, cavalli scalpitanti, luci, alberi, canti... E spettatori gradevolmente costretti a guardare ora qua, ora là: anche loro, si direbbe, alla ricerca del Graal. Giulio Brogi, un Amfortas di forte, lucida intensità, e Riccardo Garrone, l'eremita Trevrizent dai saggi consigli che benedice il coraggio di Perceval, hanno condiviso il caloroso successo della rappresentazione insieme con Ludovica Tinghi, la signora del castello, Vincenzo Bocciarelli, baldanzoso, limpido Perceval, e tutti gli altri: Francesco Meoni, Piero Coretto, Katia Ciliberti, ancelle e cavalieri.
CARLO MARIA PENSA, Famiglia Cristiana 7 agosto 1996




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