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La Stampa - La recensione di Masolino D'Amico
 

I Templari parlano in dialetto
I Templari erano quei monaci guerrieri dalla magnifica tenuta bianca con croce rossa. Nacquero per proteggere i pellegrini diretti in Terrasanta e si resero preziosi durante le Crociate. I Papi li ebbero cari per la loro fedeltà in quanto non dipendenti da nessun sovrano e li favorirono assai, tra l'altro esentandoli da ogni tributo. Grazie a ricche donazioni e alla saggia amministrazione di queste, prosperarono e diventarono potentissimi. Quando l'epoca delle Crociate terminò, agli inizi del Trecento, controllavano una rete di castelli e possedimenti che copriva mezza Cristianità, ma la loro utilità militare era cessata. Re Filippo il Bello, che era pesantemente indebitato con l'Ordine, decise allora di sopprimerlo e di incamerarne i beni, e avvalendosi anche della collaborazione di un Pontefice debole e asservito - Clemente V, per l'appunto colui che spostò il papato a Avignone - montò una serie di accuse infamanti (eresia, idolatria, sodomia, ecc.) contro i cavalieri, che fece arrestare e torturare a centinaia. Nel 1314 l'Ordine fu sciolto definitivamente e il suo ultimo Gran Maestro arso vivo.
Questo lo sfondo dell'interessante dramma storico di Elena Bono, intitolato appunto I Templari, in scena a San Miniato per la Festa del Teatro. L'autrice immagina un momento della lotta tra il potere e i cavalieri religiosi, non a Parigi che ne fu il centro ma in un luogo dell'Italia centromeridionale, una fortezza dove alcuni Templari sono stati fatti prigionieri. Qui un inquisitore francese (l'Uomo Nero) si scontra dialetticamente con un Precettore dell'Ordine mentre nella segreta un giovane Templare sta soccombendo alle ferite subite durante l'arresto. Le due situazioni procedono a momenti alternati durante una stessa notte, collocate l'una sopra l'altra dalla sobria, efficace scenografia di Daniele Spisa e ben coordinate dalla regia di Pino Manzari. Il confronto tra inquisitore e inquisito è articolato, sia per l'intelligenza con cui entrambi giocano le loro pedine, sia per la complessità del personaggio dell'Uomo Nero, un bastardo reale le cui simpatie per l'autorità sono pertanto ambigue. Più singolare la situazione nel sottosuolo, dove la pietà della figlia del carceriere per l'agonia del giovane tedesco contagia lo scudiere traditore dei Templari al punto di fargli inscenare una finta cerimonia di investitura a beneficio del moribondo, che almeno morirà credendosi cavaliere. Tutto finisce male, i Templari saranno condannati, e anche gli umili periranno tra le fiamme.
Un testo di parola e di ragionamento come questo meriterebbe di essere porto all'ascolto senza intoppi. Purtroppo però l'autrice ha scritto tutte le parti dei popolani in un faticoso miscuglio di dialetti pseudoarcaici che nemmeno l'abnegazione degli attori, tra cui Massimo Foschi, riesce a rendere scorrevole. Meno grave, ma pur sempre superfluo, anche il vezzo dell'Uomo Nero (il valido Umberto Ceriani) di abbellire le sue battute con parole in francese che egli stesso traduce subito in italiano. Musiche medievaleggianti di Roberto Tofi, due ore più intervallo, buon successo. Si replica fino al 24.
Masolino D'Amico, La Stampa, Torino, 21 luglio 2002




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