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La recensione di Paolo Emilio Poesio
 

Amore oltre l'amore
San Genesio, il mimo che, toccato dalla grazia mentre parodiava il rito cristiano del battesimo, patì il martirio, è il protettore della gente di teatro: e, anche, è il santo patrono di questa San Miniato dove da trentadue anni vive e opera — non senza traversie di varia natura, superate sempre da un ostinato entusiasmo — l'Istituto del Dramma Popolare, per dar vita, ogni estate, a una nuova « Festa del teatro ».
Proprio ieri, 25 agosto, quando, accogliendo il tradizionale invito, tornavamo una volta di più nella città delle carducciane « risorse » per assistere in anteprima alla novità di Franco Enriquez, Eloisa e Abelardo, proprio ieri, dicevo, ricorreva la festività di San Genesio. Quasi a sottolineare il vincolo strettissimo che si è andato intessendo fra San Miniato e il teatro nel corso di tre decenni. Un vincolo creato anche dal fatto che gli spettacoli hanno avuto sempre per scenario non un unico edificio a ciò espressamente deputato, ma piazze e chiese, ambienti, intendo, della vita quotidiana di una comunità cittadina.
Quest'anno il luogo scenico prescelto è tornato a essere l'austero interno della chiesa di San Francesco che già in passato ospitò pagine memorabili di teatro (come dimenticarsi Assassinio nella cattedrale o L'ultima al patibolo, nei primissimi anni della manifestazione sanminiatese?). Qui, con le spalle rivolte all'abside, è stata eretta una vastissima gradinata per il pubblico, mentre l'azione si svolge in un pur sempre ampio spazio che ha per sfondo il portale d'ingresso aperto alle misteriose suggestioni della notte estiva, quasi irreale schermo di volta in volta celato allo sguardo dal calare di una lignea griglia.
Il legno, nudo e lineare, domina del resto tutto l'impianto scenico concepito da un architetto fiorentino, Franco Bonaiuti: non ci sono concessioni al gusto per così dire archeologico della ricostruzione ambientale, ma stimoli a compenetrare — nel giòco dei pieni e dei vuoti, delle linee rette e delle curve, nel felice incastonamento delle due grandi acquasantiere — il clima di un dramma che è insieme dramma d'amore e di fede, di spirito e di sensi.
Il dramma appunto che si impernia su Eloisa e Abelardo, anime in tempesta la cui voce, sempre giovane, ha superato i secoli.
Dare una visione scenica di questa storia famosa che non tanto si fonda sugli avvenimenti esteriori, quanto su conflitti intimi la cui testimonianza maggiore ci è offerta dalle lettere intercorse fra i due protagonisti e che costituiscono (si veda il prezioso saggio di Gilson) uno dei più alti documenti delle letterature di tutti i tempi, non è agevole impresa. Occorre, infatti, da un lato evitare di cadere nelle banalità dello « sceneggiato », dall'altro è necessario non fare astrazione dal peso che ebbe nel pensiero medievale, il razionalismo di Abelardo (condannato a Sens, dopo la dura requisitoria di Bernardo di Chiaravalle).
Al suo debutto come autore, Franco Enriquez ha inteso rifiutarsi a ogni tentazione di piccola narrativa, spesso risolvendo talune azioni con il ricorso a fattori mimici (la seduzione di Eloisa, la mulilazione inferta a Abelardo, il rifiuto dei monasteri ad accogliere il condannato di Sens), puntando su un teatro di parola che non escludesse tuttavia spunti spettacolari (l'intervento assai bello di canti gregoriani, il gusto dell'immagine che si compone come in un sogno), né che si limitasse a un dialogo — sulla base delle famose lettere — fra Eloisa e Abelardo (di qui l'intervento di Bernardo di Chiaravalle e dell'abate di Cluny, due volti diversi della stessa chiesa).
Le lettere, certo, sono il punto di forza del copione: sono anche una lunga pausa di ristagno (sia pure rotta da gentili invenzioni come lo scambio delle epistole, i movimenti impressi alla figura in nero di Abelardo e quella di abbagliante candore di Eloisa). Ristagno, tuttavia, che si illumina di bellezza per i pensieri espressi, soprattutto quelli di Eloisa, da dare la sensazione che questo duetto di anime tocchi i vertici più inaccessi di un amore che va anche oltre l'amore.
Aperto sul momento in cui l'abate di Cluny consegna a Eloisa la salma di Abelardo, lo spettacolo si chiude sulla medesima scena: ma nel frattempo tutto un ciclo di conflitti si è compiuto, senza mai intaccare la fede dell'uno e dell'altra, senza mai menomare la forza della sincerità, il calor bianco della passione che erompono come lava ardente dal cuore di Eloisa. Così che quasi passerebbe in ombra l'altro tormento del credente che si sente respinto dalla chiesa in cui crede fino a essere nulla più che « un povero passero sperduto e impaurato nella foresta ».
La regia di Enriquez è tanto più rigorosa là dove egli si sentiva impegnato come autore: vale a dire nel rapporto Eloisa-Abelardo, nello scontro di Abelardo con la dottrina di Bernardo. Altrove, e parlo in particolare degli interventi mimici o dell'apparizione (che mi è parsa estranea al tessuto dell'impianto drammaturgo) di certe gigantesche figure metafisiche, altrove, dicevo, penso che la regia avrebbe potuto incidere in altra e più feconda misura.
Certo è che Enriquez non poteva trovare due interpreti di altrettanto eccezionale statura: parlo di Valeria Moriconi che a Eloisa dona con un impeto sbalorditivo innocenza e presa di coscienza, passione profana e spiritualità purissima in un intersecarsi e amalgamarsi di toni, di gesti, di moti del volto e dello sguardo, di rara efficacia; e parlo di Nando Gazzolo che Abelardo trattiene in una assorta, sofferta e scavata amarezza qua facendone balenare il travaglio spirituale, là dando luce a tormenti di una passione rimaturata e per ciò appunto tanto più dolorosa. Con loro va detto della limpida, lineare robustezza con cui Carlo Hintermann ha dato vita a Bernardo di Chiara-valle e alla umanissima lucidità conferita da Giampiero Becherelli all'abate di Cluny.
Il successo, all'anteprima, è stato completo e il pubblico ha evocato più volte gli interpreti e il regista-autore di questo spettacolo che si poneva (coincidenza o calcolo?) sotto il segno di San Genesio.
Paolo Emilio Poesio La Nazione, Firenze, 27 Agosto 1978




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