La lezione del Poverello d'Assisi proiettata nel futuro
Un Francesco proiettato nel tempo, nel futuro. Un Francesco che prevede profeticamente quella che sarà la sua stessa lezione nella storia, il suo essere segno di contraddizione permanente, lo «scandalo» del Vangelo preso alla lettera. Elementi di un romanzo, quello del francese Joseph Delteil, che diventano immediati nella trascrizione teatrale di Piero Ferrero e Krzysztof Zanussi per L'uomo che vide, in scena alla «Festa del teatro» a San Miniato.
«L'uomo che vide» è un uomo d'oggi, che veste come noi, gira in bicicletta, parla il linguaggio di ogni giorno. È l'uomo della strada, che passa inosservato eppure ha conosciuto un'esperienza straordinaria: ha visto san Francesco, lo ha seguito nella sua predicazione, ne è in qualche modo diventato anche la «coscienza critica».
Ruotano attorno a questa figura, onnipresente sulla scena, le sette «stazioni» attraverso le quali Ferrero e Zanussi hanno riletto e adattato il lavoro di Delteil, autore praticamente sconosciuto in Italia, ma che in Francia fece molto parlare di sé nel decennio 1925-1935 dopo il successo della sua discussa Jeanne d'Arc dalla quale Dreyer avrebbe poi tratto il suo film più celebre.
A San Miniato va dunque il merito, anche in questa circostanza, di aver portato alla ribalta uno scrittore praticamente ignorato al di fuori dei confini del proprio Paese. E lo ha fatto in un momento in cui le acque dell'«Istituto del dramma popolare», che dal '47 organizza la «Festa del teatro», tornano ad essere agitate per la notizia, arrivata proprio in questi giorni, del taglio dei finanziamenti statali.
San Miniato, per bocca di don Luciano Marrucci, direttore del «Dramma popolare», rivendica la propria storia, il proprio ruolo «irripetibile, anche umile, solitario e singolare» nel panorama teatrale italiano. Non si può infatti dimenticare il carattere di questo «Istituto», che da 52 anni, nella storica piazza del Duomo della città medievale in provincia di Pisa, propone un teatro diverso, di riflessione, dello spirito; un teatro popolare e dello spazio naturale.
Per un teatro che dunque rischia di diventare in tutti i sensi sempre più povero, acquista un sapore particolare la scelta di un san Francesco, che torna a San Miniato a distanza di quasi cinquantanni dalla rappresentazione del Poverello di Jacques Copeau nel 1950. E con lui torna anche Tonino Pierfederici, l'attore che allora impersonò il santo di Assisi e che ora, nell'Uomo che vide, interpreta il prete di San Damiano dal quale Francesco ricava il messaggio di vivere il Vangelo alla lettera, in uno dei quadri («Alla lettera! Alla lettera!») di maggiore intensità drammatica. «Perché nessuno ha mai letto il Vangelo così?», si domanda Francesco: «Letto parola dopo parola? Letto come un manoscritto greco, una lettera d'amore, un ordine di battaglia... Un testo come questo ha pelle e muscoli, si è fatto carne...».
Gli altri quadri, o «stazioni», introdotti dalla «Voce» (quella di Dio, quella del «Va, Francesco!») sono dedicati alla «Libertà», al «Fuggire per vivere», alle «Regole trovate» e alla «Regola perduta», alle «Piaghe della Verna» e, infine, all'«Addio». Sette momenti, un'ideale e immaginaria «Via Crucis», per un Francesco vigoroso e ribelle, il più vicino possibile, nel linguaggio e nell'azione, ai giovani d'oggi.
«Questo Francesco — spiega Zanussi — è animato da una fiamma radicale, severo con se stesso. E in questo suo spiritualismo radicale ci traghetta al Duemila. Non a caso anche oggi si cerca la spiritualità pura, al di fuori dei compromessi».
Per essere più vicino ai giovani, il Francesco presentato a San Miniato è anche un moderno centauro, che irrompe sulla scena in sella alla moto anziché al cavallo. E in questo, il regista polacco, ancora una volta punta su elementi spettacolari, quasi cinematografici. Già in passato, nel ---Giobbe--- di Karol Wojtyla, nel 1985, era ricorso alle auto e, due anni fa, nel ---Re pescatore--- di Julien Gracq, aveva portato in piazza cavalli e cavalieri.
Zanussi, e con lui lo scenografo Luigi Del Fante, ha sfruttato al meglio anche l'ambientazione naturale, ricorrendo ad una pedana al centro della piazza ed utilizzando come altri luoghi deputati il Palazzo arcivescovile e la Cattedrale, il cui rosone si illumina ogni qualvolta Dio parla a Francesco e il cui portone, alla fine, si apre per accogliere nella luce le spoglie del santo. Davanti a lui, a quel punto, la lunga serie dei secoli nei quali, superando ogni avversità, «la sua parola resterà come messaggio incancellabile della carità di Cristo riportata in terra e come capitolo irrinunciabile della civiltà dell'Occidente». «Non è questione di credere o non credere — dice Ferrero —: Francesco ha reso reale, nella storia, un ideale; e questo lo rende "inevitabile" per chiunque cerchi un profilo o un contorno capaci di rendere evidenti le scelte morali».
A dare vigore al Francesco di Zanussi e Ferrero è stato chiamato il giovane Maximilian Nisi, che già l'anno scorso si era distinto proprio a San Miniato nel Billy Budd di Herman Melville. Per lui e per il regista un unico appunto: la scena della restituzione degli abiti al padre Bernardone assomiglia troppo a quella del Fratello sole, sorella luna di Zeffirelli, mentre i gioiosi fraticelli in saio e scarpe da tennis assomigliano in qualche modo a quelli di Rossellini del Francesco giullare di Dio. Citazioni volute? Forse sì. Ma rappresentano i momenti più deboli dello spettacolo, che per il resto si mantiene su livelli alti di tensione drammatica e, come detto, di spettacolarità.
ANDREA FAGIOLI, L'Osservatore Romano, 20-21 luglio 1998
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