Bartolomeo Las Casas: difendendo gli indios insegnò il rispetto verso ogni uomo e cultura
È diventata una gradita consuetudine anche per Il Corriere Apuano l'invito all'apertura della Festa del Dramma Popolare e Teatro dello spirito, nato a San Miniato nel 1947, a testimoniare il bisogno di risorgere dopo i disastri della guerra. Da allora ogni estate nella piccola bella città toscana vengono messi in scena lavori inediti a sfondo e di ispirazione cristiana per far riflettere sui valori ultimi dell'esistenza. Quest'anno c'è stato l'adattamento teatrale del romanzo di ReinhoId Schneider (Baden Baden 1903; Friburgo in Brisgovia 1958), uno scrittore tra i più alti del Novecento europeo, che scrisse questo lavoro nel 1938, quando in preparazione c'era un nuovo genocidio, quello degli ebrei, il suo è quindi un dramma politico, al di là di ogni ideologia o appartenenza. La regia è di Giovanni Maria Tenti, un giovane aretino dal curriculum molto prestigioso (fu protagonista a Pontremoli, nella chiesa dei Cappuccini di un elevato recital di poesie su Maria).
Bartolomeo La Casas (Siviglia 1484-1566) fu l'apostolo degli Indios, con impegno totale difese la loro libertà contro l'ingiustizia e la brutalità colonizzatrice degli spagnoli, arrivati nel Nuovo Mondo con le spade della prepotenza e con le zappe della cupidigia. Il testo teatrale ci porge un Las Casas che torna in Spagna per affrontare una sorta di disputa-processo e diventa coscienza di un popolo e di un tempo che dice di voler essere di Cristo e intanto sottomette gli indigeni americani, ne rapina l'oro prima di battezzali. Il frate domenicano, interpretato dall'attore Franco Graziosi, è visto nella sua fragilità e negli errori accumulati quando era un conquistatore come tanti altri. Ma aveva trovato la forza di cambiare e di incontrarsi con Dio, attraverso il rapporto con gli uomini e non nel chiuso di una torre d'avorio o di una biblioteca di codici. Non bisognava conquistare dei regni, ma delle anime; le guerre coloniali furono "illegali, tiranniche e infernali": un'ingiustizia e un tradimento dell'uomo, che è stato creato per la pace, libero e uguale a ogni altro uomo.
Questo testo quindi non è solo una rievocazione storica; fa rivivere la forza e la profezia di un uomo del quale, con speciale evidenza, capiamo la verità e la grandezza nel mondo di oggi, incamminato nella globalizzazione e che può trovare la concordia e la pace solo testimoniando la Croce nel rispetto delle diverse culture, contro ogni ingiustizia e sopraffazione del più debole.
Il dramma Bartolomeo de Las Casas è un teatro della parola, lanciata come messaggio per tutti, testimonianza del Dio Verbo incarnato per i cristiani.
L'impegno di Las Casas ottenne risultati: il papa Paolo III neò 1537 proibiva la schiavitù, proclamava - contro il parere di molti teologi - che gli indigeni avevano un'anima immortale come i bianchi. L'imperatore Carlo V, turbato dal documentai del frate sulla "distruzione delle Indie", promulgò nel 1542 le "Nuove leggi sulle Indie", che disponevano la condanna anche a morte di chi avesse perseguitato gli Indios, dei quali si riconoscevano i diritti fondamentali.
Certamente - osserva lo storico Franco Cardini - le nuove leggi rimasero in gran parte lettera morta per vari motivi: la lontananza dalla Spagna, la difficoltà delle comunicazioni, i frequenti casi di corruzione e collusione; tuttavia il processo era avviato.
Las Casas, avvocato dei poveri, (nel 2002 è iniziato il processo di canonizzazione), scelse la diocesi del Chapas in Messico, ancora oggi oppressa dall'arroganza dei ricchi sfruttatori, ebbe il coraggio di chi dice NO al potere strumento di sopraffazione e opera al servizio all'uomo.
Nello scavo dentro la coscienza si colgono anche i turbamenti intimi di altri personaggi, come Bernardino di Lares, conquistatore che vuol guarire dalla cupidigia delle ricchezze compiendo un duro travaglio interiore.
L'attore Renato De Carmine ha ben interpretato l'imperatore Carlo, colto nei moti intimi del suo animo, ispirato da Erasmo da Rotterdam e che l'autore Schneider e il regista Tenti vedono come propulsore di un'idea dell'unità dell'Europa, unica via, allora come ora, per superare incomprensioni e divisioni: quelle che andava ad affrontare Carlo V nella dieta di Ratisbona erano tra cattolici e protestanti. La "Disputa di Valladolid" è il cuore del dramma: si confrontano Las Casas e Juan Gines de Sepulveda col suo machiavellico realismo: è il problema del rapporto tra Grazia e potere, tra ragione dell'uomo e ragione di Stato. Dentro ci sta tutta la sofferenza e il male delle vicende umane. Ma Las Casas professa, a nome di tutti gli apostoli della giustizia e della verità, una fede che sta dentro la storia; gli uomini sono tutti uguali ed è vero che "l'ultima parola non spetta mai ai carnefici".
m.l.s., Il Corriere Apuano, 26 luglio 2003
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