Per gli occhi belli di Maruca il monaco sceglie la prigione
Non capita spesso che un Direttore Artistico di fronte all'acquazzone estivo che costringe attori e spettatori a soluzioni di ripiego arrangiate all'ultimo momento senza un briciolo di scenografie, luci improvvisate in due ore, e nessuna magia architettonica o panoramica d'ambiente, invece di prendersela con le villanie a soggetto della pioggia parli serenamente di « copiosa benedizione » scesa dal ciclo. Ma siamo a San Miniato per la XXXV edizione della Festa del Teatro organizzata dall'Istituto del Dramma Popolare e Ramon il Mercedario, protagonista del lavoro che lo scrittore Luigi Santucci ha tratto quest'anno « su ordinazione » da un suo libro di racconti intitolato « Il bambino e la strega », probabilmente non avrebbe reagito di fronte alla pioggia con minore tranquillità ed entusiasmo dì quella mostrata da don Marco Bongioanni nel suo breve prologo di presentazione e spiegazioni introduttive.
Avidissimo di catene e di frustate lo spagnolo Ramon Nonnato (« non-nato » perché estratto vivo dal corpo della madre morta) passò secondo le fonti biografiche ed agiografiche gran parte della sua vita (prima di essere fatto cardinale e poi santo) in schiavitù offrendosi in cambio di altri prigionieri. Naturalmente non era un precursore del barone Sacher Von Masoch, non coniugava il Piacere con il Dolore, ma, per vie apparentemente meno tortuose e profane, secondo il modello di Cristo, inseguiva e predi' cava un'equazione altrettanto paradossale fra le pene fisiche e le gioie dell'anima, fra un'esigenza « laica » di libertà ed una vocazione « cattolica » all'espiazione e al martirio.
Santucci gli toglie dunque ogni pallore ascetico e penitenziale. Lo descrive quasi come un atleta della sofferenza, un gioviale e picaresco frequentatore di galere. Per dargli corpo e scioglierlo da un'iconografia religiosa troppo facilmente oleografica l'autore, accanto alle motivazioni dell'ordine della Mercede fondato a Barcellona dal suo amico San Pietro Nolasco con lo scopo di riscattare i cristiani fatti schiavi dai pirati saraceni, insinua in controluce l'ombra di altre ragioni più umane e meno astrattamente umanitarie. Così vediamo Ramon iniziare la sua volontaria odissea offrendosi per sette anni in cambio della sua amata Maruca fatta schiava dal Barbaresco, col progetto (mai realizzato) di sposarla alla fine della sua prigionia.
Mentre, col passare del tempo, vagabondando da una pena all'altra, da un remo di galera ad un lavoro forzato, si consolida il nodo di1 una angosciosa ossessione, il senso di colpa nel confronti della madre morta e mai vista. Ed accanto al bisogno di dare agli altri la libertà perduta o negata, forse il tarlo segreto di una personale e singolare paura nel rompere le proprie catene, nell'uscire dal copione di un destino di clasura pur votatamente scelto.
Tuttavia, anche a causa del dirottamento sul palcoscenico nudo delTAuditorium dove lo spettacolo si è svolto come in una prova generale lasciando all'immaginazione del pubblico la bella cornice scenografica di Luisa Spinatelli allestita sulla piazza del Duomo (un simbolico contrapporsi, da stampa medioevale, di strutture architettoniche leggermente « naif » orientali e occidentali con, al centro, fra le onde disegnate del mare il legno di una nave), nonostante le varie chiavi interpretative più o meno sacre prevaleva una certa monotonia didascalica.
La regia di Lamberto Pugelli sottolineava più che altro i movimenti di remo, incerta fra la caratterizzazione stereotipata, « ingenua » e l'approfondimento psicologico dei personaggi. Massimo Foschi nel ruolo di Ramon s'imponeva senza convincere. Capelli lunghi abilmente sventagliati e barba da nazareno, Antonio Salines era un pensoso San Pietro Nolasco, mentre Carola Stagnaro in tunica bianca interpretava il breve ruolo di Manica. Infedele non privo di nobiltà d'animo e pronto per la scontata conversione finale il Barbaresco di Edoardo Borioli. Suggestive musiche d'« epoca » di Fabio Borgazzi.
Nico Garrone La Repubblica, Roma, 21 Luglio 1981
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