Un gioiello nascosto del teatro italiano
Ci sono alcuni avvenimenti che fanno riflettere, e permettono di guardare al futuro con un po' di speranza in più. Uno di questi incontri è avvenuto in Toscana, a metà di luglio: mi trovavo a San Miniato, splendida città medievale vicina a Firenze, ma in provincia di Pisa, per un evento teatrale che avevo colpevolmente ignorato fino a quel giorno, il Festival del Dramma Popolare, una realtà che l'anno scorso ha festeggiato i sessanta compleanni. Sessantuno anni fa, infatti, era appena passata la guerra, quando a San Miniato nacque l'Istituto del Dramma Popolare. Scopo di questa istituzione, voluta e diretta per venticinque anni da don Giancarlo Ruggini, era, come si legge nello statuto, "ridare al popolo il suo teatro, per far sì che il teatro acquistasse nella evoluzione sociale la sua missione guida". Nasceva così il "Teatro dello spirito". Ricollegandosi da una parte al teatro classico (teatro come strumento di conoscenza per tutto il popolo, da vivere in comunità) dall'altra al dramma medievale (teatro come esperienza mistica, di crescita nella spiritualità collettiva), l'Istituto del dramma popolare, in sessant'anni di vita, ha dato spazio alla ricerca dello spirito nella modernità. L'idea vincente è stata quella di non rappresentare testi classici, o medievali, o di altre epoche, ma solo testi moderni, spesso in prima esecuzione per l'Italia. In questo modo il pubblico del nostro tempo ha ascoltato la voce degli autori contemporanei su temi "scottanti", che hanno a che fare con quelle istanze, quegli ideali, quelle domande, cui la società moderna non vuole o non sa dare risposta. Ma neanche nelle risposte è la chiave per capire il successo di questa istituzione, che in sessant'anni ha chiamato a San Miniato il fior fiore dei registi e degli interpreti italiani: è la domanda. Porsi delle domande significa abbandonare gli schemi, rifiutare i preconcetti e osservare la realtà con uno sguardo nuovo, di apertura e dialogo. Gli spettacoli servono quindi a interrogarsi, a porsi il problema: poi verrà la riflessione, e forse la risposta, ma intanto uno spiraglio è stato aperto, sono state poste le basi per un possibile cambiamento. Ogni anno a San Miniato ci sono più spettacoli, che gravitano verso quello principale: in particolare, quest'anno sono stati messi in scena Magnificat di Alda Merini e Liberi da Dio in Dio, di Stefano Perfetti. Lo spettacolo principale ha l'onore della rappresentazione nella piazza del Duomo, una posizione estremamente suggestiva, sul poggio che domina la città, mentre al tramonto le dolci colline toscane si tingono di rosso. Quest'anno la commissione ha scelto Il nemico, un testo del 1954 di Julien Green, mai rappresentato prima in Italia. L'opera è ambientata nel Settecento, immediatamente prima della Rivoluzione francese, e riguarda una giovane donna, Elisabeth, sposata a Philippe, signore di Silleranges; l'uomo, a causa di una ferita di guerra, è impotente, e la donna è consumata dal desiderio, prima verso il cognato Jacques, poi verse l'altro cognato, Pierre, che ha abbandonato il convento in cui viveva e si è dato al demonio. Il nemico del titolo, però, non è solo il diavolo: anche Dio è un nemico, un nemico del quieto vivere, delle usanze, della rispettabilità sociale. Elisabeth, infatti, viene visitata, ma non dal diavolo, ma da chi le promette che il pentimento e l'espiazione potranno salvare la sua anima. Al di là del valore del testo, una cosa mi ha colpito: la quantità di persone che dedicano il loro tempo, la loro fatica, il loro impegno, per la buona riuscita della rassegna. In questo senso il Festival è davvero un evento popolare, perché tutto il paese partecipa, discute, s'interessa dell'opera messa in scena, se ne commentano le parti, si riflette poi sul messaggio che essa trasmette. E vedere un simile amore per il teatro, per la cultura ad esso legata, è stata un'esperienza assolutamente coinvolgente. Venendo al testo messo in scena quest'anno, replicato fino al 25 luglio, si tratta di un dramma, messo in scena per la regia di Carmelo Rifici, molto interessante ma anche un po' datato. A livello drammaturgico, l'uso di dialoghi fittissimi e monologhi molto lunghi mostrano l'età dell'opera: un autore contemporaneo sfoltirebbe il testo e darebbe più spazio a movimenti coreografici e brani musicali, per alleggerirlo, anche perché l'attenzione del pubblico moderno non è la stessa di quello di cinquant'anni fa, e durando più di due ore, Il nemico è un'opera che richiede molto ai suoi spettatori. Non a caso, Rifici ha proprio aggiunto molta coreografia, puntando anche ad una recitazione anche fisica. Ottima l'interpretazione del cast, in particolare di Elisabetta Pozzi nel ruolo, difficilissimo, di Elisabeth: l'uso dei registri vocali più diversi, la capacità di usare la corporeità per trasmettere il dramma della protagonista la mostrano come una delle migliori attrici del teatro italiano; molto bravi tutti, comunque, i tre fratelli: Marco Balbi (Philippe), Alessio Romano (Jacques), Tommaso Ragno (Pierre). Un'idea del regista, poi, è stata anche in grado di migliorare il testo: Pierre dice ad un incredulo Jacques che non c'è bisogno di formule da recitare, per invocare il diavolo, basta invitarlo ad entrare ed aprire una porta, e lui arriverà. Detto fatto, ma invece del diavolo entra, nel testo di Green, una mendicante che chiede pane; Rifici invece ha fatto entrare tre mendicanti, simbolo della Trinità, con una efficacia scenica molto maggiore. Nell'insieme, si è trattato di uno spettacolo da meditare, su cui riflettere,confermando la validità del "Teatro dello spirito" di San Miniato. Ed è un invito sentito, quello di affrontare un viaggio non troppo lungo, il prossimo anno, per recarsi a vedere il "Teatro dello spiritò" di San Miniato, e partecipare così ad una vera esperienza di teatro realmente popolare, forse uno dei pochissimi esemplari rimasti in tutta Italia. Ne resterete contenti, e
sarà un'occasione per riflettere su quei grandi temi dello spirito che troppo spesso, nella vita di tutti i giorni, vengono trascurati e dimenticati, avvolti come siamo dalla frenesia delle nostre occupazioni quotidiane. Ritagliarsi un po' di tempo per ragionare di questo nel suggestivo contesto delle colline toscane è, quindi, una scelta assai saggia, ed anche estremamente piacevole.
PAOLO TURRONI, La Voce di Romagna 31 luglio 2007
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