Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
La recensione di Renzo Tian
 

Nel "Quinto Vangelo" un Gesù libertario
A San Miniato, nella chiesa gotica di San Francesco, la XXIX. Festa dell'istituto del dramma popolare tiene a battesimo un autore nuovo per il teatro. Già ben noto come romanziere e saggista, scrittore di sostanziosa originalità e rara discrezione, Mario Pomilio nasce al teatro in un modo oroginale che merita di essere segnalato. Il suo ultimo romanzo, Il Quinto Evangelio, al centro del quale è una figura di studioso protestante che per lunghi anni ha vagato in Europa sulle tracce dei materiali di un Quinto Vangelo inedito, aveva un capitolo finale ideato in forma di abbozzo di opera teatrale.
L'abbozzo prese consistenza e autonomia; fu conosciuto prima del romanzo di cui faceva parte, quando l'anno scorso vinse a Pescara il Premio Flaiano come opera teatrale a sé, e già in quell'occasione si vide come Pomilio si avvicinasse ai teatro non come a un espediente formale, ma per cercare una soluzione a qualcosa che premeva fuori dal quadro della narrazione. Adesso il capitolo-teatro arriva alla scena nell'allestimento dello Stabile dell'Aquila, affidato ale mediazione interpretativa del « coordinatore » Orazio Costa Giovangigli.
Pomilio appartiene al novero dei cristiani inquieti e problematici, per i quali il messaggio evangelico è qualcosa che bisogna anzitutto preservare dalle incrostazioni dell'abitudine e dalle sclerosi dell'ortodossia: Il Quinto Evangelio è la somma dei fermenti, delle tensioni e delle domande che si sono accumulate tra i cristiani nel corso dei secoli. «Chi era questo Gesù?». E' la domanda che più spesso ricorre in questo dibattito-oratorio che si immagina svolto in un circolo di studi religiosi nella Germania del 1940. Dapprima il problema ha un avvio filologico, di concordanza dei testi e di rispondenza alla verità storica. Grandi e piccoli interrogativi si affollano nella discussione.
C'è il dettaglio aneddotico: esiste oppure no il Greneo portatore della croce registrato da tre evangelisti e negato da quarto? E c'è il dubbio che può emergere da sconcordanze più sostanziose: Barabba fu il bandito da strada maestra della tradizione, o il misterioso « prigioniero illustre » di cui ci parla uno dei quattro? E c'è il tentativo di scandagliare a fondo la figura di Giuda, sottraendola a troppo semplicistiche definizioni col porre la questione della sua mancata salvezza. Ma a Pomilio non interessa tanto il gioco delle supposizioni, già largamente praticato da altri scrittori, basato sull'espediente di gettare luci di fantasia o di congetturare su figure che i Vangeli lasciano solitamente in disparte.
Nel penetrare quel tessuto apparentemente limpido, ma in realtà fitto di simboli e di allegorie che si accavallano dietro all'ingannevole semplicità della vicenda narrata, nel cercare spiragli nuovi in un muro logorato da secoli di interpretazione edificante, a Pomilio preme di arrivare a un interrogativo di fondo: le Scritture ci rivelano soltanto un Gesù mistico e metafisico, quello del « date a Cesare » inteso come docile ossequio all'autorità, o piuttosto esse non ci parlano di un Gesù politico e libertario che si oppone al potere in nome della coscienza morale di ognuno, non soltanto maestro di anime ma « uomo nato soggetto alla Legge che ci ha liberati dalla soggezione alla Legge »? Questo è il senso finale del dibattito che strada facendo si teatralizza, con l'assunzione in proprio di autentici personaggi da parte di coloro che da principio erano stati invitati a leggere testimonianze o ad illustrare ragioni e congetture su questa o quella figura evangelica. Assenti dal dibattito i due personaggi maggiori, Gesù e Maria. Essi sembrano affacciarsi indirettamente nelle figure dello studente che cerca di ricostruire la testimonianza del quinto evangelista e di sua madre che vorrebbe frenarne la serena audacia. E alla fine il dibattito si trasforma in uno scontro reale, perché un ufficiale nazista che aveva assunto il personaggio di Pilato finisce per fare arrestare sul serio lo studente che aveva dato voce sempre più energica al quinto evangelista, quello del dissenso contro l'arroganza del potere.
Mite e nobile, scopertamente pervaso da una fervida speranza intcriore di mutamento, il testo di Pomilio rischia di suonare spaesato tra gli agguerriti clamori che corrono le nostre scene. Gli nuoce, forse, una discorsività troppo distesa, a volte diluita: si intuisce che la tensione che lo anima è più forte del garbato raziocinio oratorio da circolo culturale di altri tempi attraverso cui si esprime. E la realistica tragicità della conclusione potrebbe persino ridurre la dimensione del dibattito, che è innestato sull'attualità esistenziale e non su quella della cronaca. Lo spettacolo di Orazio Costa ripercorre la strada, anche di recente sperimentata con Fabbri, dell'oratorio in forma di processo teatrale: arricchito da originali musiche su temi gregoriani di Sergio Prodigo, il dibattito è proposto nel suo nudo svolgimento discorsivo. E al suo interno hanno speciale risalto Gabriele Carrara (che è il quinto evangelista), Pietro Biondi che svolge con fredda tenacia le ragioni di un avvocato agnostico, Sergio Salvi nelle vesti di un magistrato ambiguo che si trasforma in Caifa. Andrea Bosic che è il sacerdote-moderatore, Alberto Mancioppi che abbozza la inedita ipotesi di un Giuda portatore di una passione intellettuale, Giovanna Galletti, Giampiero Fortebraccio, Daniela Gatti e molti altri. Ma al di là della riuscita formale, Il Quinto evangelista contiene risposte autentiche, e non occasionali, agli interrogativi di fondo della religiosità del nostro tempo. Qualcosa di simile, con accenti assai diversi, ci siamo sentiti dire pochi giorni fa sul sagrato del duomo di Caserta Vecchia, in una sacra rappresentazione dove un frate della repubblica partenopea assumeva il ruolo di nuovo evangelista inquieto, testimone attivo di una fede che non può esaurirsi nella conservazione e nella quiete delle certezze.
Renzo Tian Il Messaggere, Roma, 21 Settembre 1975




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home