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note dell'autore di Dante Guardamagna
 

Drammatizzazione di un evento reale
Considerando i testi rappresentati a San Miniato dal '47 al '76 (Eliot, Copeau, Bernanos, Claudel, Fabbri, Greene, Ghelderode) ritengo che spetti a me fare una precisazione. Quest'anno la scelta è caduta su un tema e su un episodio precisi: storici, e significativi come tali.
Mi sembra legittima — anzi impeccabile da parte dell'Istituto del Dramma Popolare — l'idea di puntare su un argomento  e di commissionarne la drammatizzazione.
Le occasioni, del resto, non hanno mai esonerato il poeta,  tanto meno il drammaturgo, dall'impegno.
Non si tratta di un dramma storico, in ogni caso: il vecchio genere anedottico librettistico era già infrequentabile molto prima che Peter Weiss desse al teatro le sue nitide, oratoriali e scandite cronache drammatiche (« Istruttoria » ecc).
Storico è invece, nel senso purtroppo più vieto, il genere di romanzo (« Es wraen ihrer Sechs ») che scrisse Alfred Neumann nel '43, in California, sotto l'influsso propagandistico e speculativo di Hollywood, narrando il sacrificio dei giovani antinazisti della Rosa Bianca.
Senza enfasi, il fatto — cioè la cronaca — è questa: Hans e Sophie Scholl, studenti a Monaco, scrivono e diffondono volantini di contenuto antinazista con l'aiuto degli amici Christl, Willi, Alex e del professor Kurt Huber. Quando la Gestapo è sulle loro tracce, non tentano di fuggire ma si fanno arrestare clamorosamente all'Università. Sono condannati a morte mediante decapitazione.
Non tenendo conto del precedente letterario, quindi, le fonti del dramma — spesso citate letteralmente — sono i fogli,  le lettere  e i volantini  stessi  della Rosa Bianca, gli atti del processo, i diarii, il volumetto di Ineg Scholl, vero documento familiare, con una sincerità stupefatta da scoprire tra le ingenue righe; e la storia del Terzo Reich.
Gli apporti meno ovvii vengono dalla scrupolosa e ricca inchiesta di Aldo Falivena, che intervistò in Germania il padre Robert e la sorella Elisabeth degli Scholl; Fritz Hartnagel, che era stato « il ragazzo » di Sophie e poi marito di Elisabeth; Clara, la moglie del professor Huber; Herr Stauning, un sottufficiale della Wehrmacht che ricorda di aver introdotto Robert Scholl nell'aula dove si processavano i congiurati della Rosa Bianca. E' soprattutto su questo materiale che, circa dieci anni fa, è stata sceneggiata l'edizione televisiva della Rosa Bianca a cui ho partecipato come dialoghista. E ho ancora attinto a questa fonte nella drammatizzazione dell'episodio, per avere — sia pure in un impianto prettamente teatrale: una macchina per narrare ed evocare ¦— i riferimenti più vivi e attualizzabili.
Lo spettacolo inquadra i fatti accaduti con l'invenzione di un processo sui generis in cui il Mattatore in ogni senso (l'istrionico presidente del Tribunale Popolare Roland Freisler) è demiurgo, regista e antagonista dell'evento, che fuori del tempo sta accadendo. Questo è il guscio formale di una realtà scrupolosamente rispettata nell'essenza. Lo stesso delirio teatrale di Freisler che recita le sue grottesche atrocità con l'ambizione — sua — di « fare un personaggio » folle e geniale, è storico. Come è storica la sua toga amaranto e la marsina del carnefice. E storico, anche, è il pacato lirismo dei ragazzi che NON avevano il modello dell'eroe e del martire, mentre -— in un mondo dove era  così  facile  morire —  cercavano  che  la  loro   morte
avesse un senso.
Questo testo si è dato il titolo non amabile di Weltanschauung Rosa Bianca, accostando al gentile nome del gruppo l'ispido termine filosofia), secondo lo stile stesso, intrinsecamente, anzi direi autenticamente scolastico — dei volantini compilati dagli studenti.
« Il nazionalsocialismo non ha una Weltanschauung! » — dice, anzi grida, infatti, il secondo ciclostilato della Rosa Bianca. L'operazione Rosa Bianca fu quindi una visione del mondo opposta a una cecità brutale. Visione del mondo non violenta, senza viltà. L'estrazione di quei giovani era, come è stato detto, borghese; i loro ideali ecumenicamente cristiani; il loro NO al nazismo chiaro e risoluto. La loro preoccupazione profonda che le atrocità naziste contagiassero il mondo, che l'era della violenza fosse irreversibilmente iniziata e, con varie motivazioni, anche rilanciata, li indusse alla resistenza passiva. L'obiettivo della loro guerra di parole era solo questo: che una moltitudine gettasse le armi, rifiutasse di obbedire: di torturare e uccidere. E perché fosse chiaro che il loro orrore del sangue non era una debolezza, affrontarono, vollero — senza morbosità né fanatismo — il martirio.
Dante Guardamagna




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