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La recensione de La Sicilia
 

Cristo proibito di Malaparte tutti colpevoli e innocenti
In una comunità dispersa dalla guerra e dalla fame, un paese forse sulle pendici del Monte Amiata, Curzio Malaparte immagina il suo Cristo proibito. Opera che ha fatto fatica a trovare il proprio genere, nata come romanzo, adattato poi a sceneggiatura cinematografica, ridotta per il teatro a cinquant' anni di distanza da Ugo Chiti e dal regista Massimo Luconi che l'ha proposta - in prima assoluta - giovedì sera alla Festa del Teatro di San Miniato.
La vicenda si avvolge con la lenta determinazione di una pianta rampicante, intorno ad un episodio: Bruno, soldato italiano disperso in Russia, torna al paese con l'idea fissa di uccidere il traditore che ha consegnato ai tedeschi il giovane fratello morto fucilato. Ma il tempo, per lui e per i suoi paesani, non è passato con la stessa velocità e non ha lasciato uguali intenzioni. Per Bruno la vendetta è stata alimenta durante la prigionia, una energia particolare forse determinante per salvargli la vita. Nel paese guerra, lotta partigiana, vendette sono declinate al tempo passato, in un'ansia isterica di normalità. Tutti conoscono il nome del traditore, nessuno lo rivela: né la madre di Bruno, chiusa in un dolore ossessivo, né la sorella del delatore, che si è data ai tedeschi per salvare i partigiani e vive di sensi di colpa, né gli altri che sentono di doverlo proteggere dalla furia del soldato che torna e ripropone l'immagine della guerra.
Sarà alla fine Padre Antonio, il falegname del paese, con un antico omicidio sulla coscienza, a farsi uccidere da Bruno strappandogli l'arma del delitto per simulare un suicidio, salvando nello stesso gesto i predestinati ai ruoli di vittima e carnefice. Dopo questo sacrificio il soldato conoscerà il nome del traditore, ma non potrà più compiere la sua vendetta.  Malaparte cuce su questa figura di falegname martire, il senso del sacrificio umano quale unico mezzo per espiare le colpe e salvare gli uomini della propria comunità. Il Cristo proibito si ferma sotto il sudario che raccoglie sulla scena il corpo di Padre Antonio e tutti i personaggi della tragedia. Ma agli uomini di questo tempo è «proibito» salvare i propri simili, è «proibito» rinnovare il sacrificio del Cristo. Troppo recenti la guerra, l'orrore dell'olocausto per non offrire almeno una contraddizione.
Malaparte non racconta un paese, ne estrae i personaggi ed alcune inquietudini. Si sente il vuoto dei valori, caduti insieme ai soldati, il bisogno di pace, ma non c'è una autorità politica o religiosa che si affacci sulla scena. Uomini dispersi e confusi. La posizione dello scrittore è autentica e ambigua: autentico il bisogno surreale di comprendere una vicenda in cui tutti sono colpevoli e tutti innocenti.
La Sicilia 16 luglio 1994




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