«Il dilemma del prigioniero» di David Edgar a San Miniato
Far incontrare opere che affrontino la condizione dell'uomo, le scelte, i dubbi storico politici, paure e incertezze, con registi che sappiano trasportare in scena questi testi con i linguaggi della contemporaneità - e trasformare tale importante appuntamento annuale in evento, ospitando alla prima nazionale e alle successive repliche il pubblico della cittadina, dei centri vicini e studiosi e critici da tutta Italia: nella lunga storia dell'Istituto Dramma Popolare, la «Festa del Teatro» di San Miniato, giunta alla cinquantottesima edizione. Strehler ha messo in scena Bernanos, Orazio Costa ha firmato numerosi allestimenti, per Copeau, Ugo Betti, Diego Fabbri e cosi via, ma in questa speciale località toscana così fedele al teatro hanno lavorato come registi anche Franco Enriquez, Roberto Guicciardini. Aldo Trionfo, Mario Morini, Mario Scaccia, Krysztof Zanussi e molti altri ancora, dando visibilità scenica alla scrittura drammaturgica attraverso diverse poetiche e visioni del mondo.
Per l'edizione 2004 è stato chiesto a Maurizio Panici, dalla ricca esperienza sia su testi classici che del presente, di mettere in scena Il dilemma del prigioniero di David Edgar, importante autore inglese che, presente alla tavola rotonda che ha preceduto il debutto, ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro svolto, seguito nelle ultime fasi di prova, colpito anche dalla soluzione scenografica, molto mossa, su tre lati, con schermi, scale, elementi mobili.
Del resto in un testo che affronta la questione della pace del mondo, spostando lo sguardo su terre vere e immaginarie, conflitti che assomigliano molto alla storia dei nostri giorni, c'era bisogno di creare più ambienti, con la decisione infine di utilizzare insieme elementi molto concreti (come i container degli aiuti umanitari). situazioni evocative (tracce di interno familiare per esempio) e immagini cinematografiche (il ponte della portaerei dove si svolgono ulteriori trattative): ma la globalizzazione non fa che esasperare - moltiplicando lutti e dolori, con l'odio, il desiderio di vendetta radicati nelle persone, mentre c'è chi usa popoli e guerre come pedine - alcuni dilemmi di sempre, tra ansia di fedeltà alle proprie idee e bisogno di avvicinarsi a un compromesso.
Come uscire dall'impasse? Non a caso la prima scena si svolge in un'università californiana dove si sperimenta la simulazione di un negoziato, ciascuno con un preciso ruolo: ma anche in quella sorta di gioco si giunge presto alla condizione di stallo, mentre s'indaga sul rapporto tra quanto viene detto e il «sottotesto» da interpretare politicamente, citando la crisi di Cuba, dimenticando più volte le motivazioni di chi si ribella, ritornano al tema della sfida ricordando anche il film Gioventù bruciata, dialoghi serrati, tesi, con schegge di coinvolgimento emotivo.
La guerra si fa realtà sia con le immagini che nell'azione teatrale (forse la parte più fragile, con una recitazione stereotipata, divise militari, urla e colpi di pistola).
Il titolo, Il dilemma del prigioniero, deriva da quella sorta di quesito su i due uomini arrestati per rapina e tenuti in celle separate: chi tradisce prima per avere dei vantaggi?
O sapranno tacere tutti e due e salvarsi giocando sull'assenza di prove? Difficile la scelta.
E tutto lo spettacolo attraversa il tema della negoziazione, partite a scacchi dove però la morte può essere reale: come quella quotidiana che vediamo tutti i giorni in televisione.
Nell'insieme un buon esito, salutato da lunghissimi applausi. Particolarmente apprezzata la recitazione di Maria Paiato, che si va confermando una delle maggiori attrici del teatro italiano (a Parma è stata la superba protagonista di Cara professoressa, produzione dello Stabile della nostra città).
Valeria Ottolenghi, La Gazzetta di Parma, 28 luglio 2004
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