IL CUSTODE DELL'ACQUA, CUSTODE DELLA VITA, CUSTODE DELL'UOMO
Il lavoro di Scaglia per la LIX Festa del Teatro di San Miniato
Un'occasione per indagare, riflettere, meditare per non morire di sete
Una "tenace" volontà di parlare di pace, di servire, nonostante tutto, la causa della pace, sembra rimbalzare da un anno all'altro sulla scena del Teatro dello Spirito sanminiatese.
Scelta discutibile?! Certamente.
L'urgente soluzione del problema causa una frenesia, un provare e riprovare, tentativi su tentativi, dunque, che un entusiasmo troppo disordinato potrebbe far degenerare, compromettendo, o addirittura vanificando, i molti sforzi a servizio della pace.
Noi vogliamo credere, invece, a un entusiasmo sofferto e ordinato, non vana illusione, ma autentica speranza, perché fondata sulla conoscenza del problema, frutto della quotidiana fatica del vivere, data, o quasi consegnata da Dio stesso, a coloro che si guadagnano il proprio pane con il sudore della fronte, della mente, del cuore. In altre parole l'agitarsi e il dimenarsi tra i dolori di parto, che sono le tragedie delle piccole e grandi guerre nell'uomo e dell'uomo, quale spinta formidabile a partorire la pace.
Solo così potremo essere a servizio della pace senza vestirsi della pace per l'ennesima, inutile esibizione da cui siamo continuamente schiaffeggiati e logorati.
Piccole e grandi tragedie di cui conosciamo la forza distruttrice e che lasciano dietro di sé sconfinati e terribili deserti senza strade e senza vita. Distruzioni e rovine, ruderi di civiltà una volta fiorenti, scheletri senza nome. Fantasmi di uomini e donne che non appartengono più a se stessi, senza passato e senza storia, perché saccheggiati di tutto, anche della memoria; spogliati della libertà, poi svenduti, dai soliti trafficanti di schiavi, all'ultima ideologia. Quale scenario si presenta agli occhi della nostra mente! Colonne interminabili di uomini, donne, vecchi, bambini, sì, bambini deportati dai grandi, dai forti…dai folli, e di quella follia molti, troppi, continuano a nutrirsi, a "farne uso" come del peggiore degli allucinogeni.
Come è vera l'affermazione che Scaglia pone sulle labbra di padre Matteo: "Senza la memoria non siamo nulla" !
È giusto che sia un archeologo a dire questo. Crediamo, infatti, che sia proprio l'archeologia a recuperare e decifrare quanto agli occhi dei profani non sarebbe altro che rovine o addirittura semplici sassi, esorcizzando la smemoratezza che rende forsennati e restituendo all'uomo la conoscenza del suo passato quale intelligenza e discernimento per il futuro.
Dirà lo stesso padre Matteo: "... ho le mani ancora sporche di terra…il mio posto é su una collina…(a) scavare! So fare quello! Mi sento già inadeguato come direttore del Museo…".
Cogliamo in queste parole, dette con meravigliosa semplicità, un'inquietante intuizione della quotidiana e corroborante fatica di essere cristiani.
Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, il Crocifisso, il Risorto dai morti, il Vivente, il Signore della storia, si lascia trovare, conoscere, amare, servire nei giorni dell'uomo, fino al Suo giorno, il giorno del Signore, il Dies Domini, la Domenica senza tramonto. Il Cristianesimo sarà tanto più presenza di Dio e servizio all'uomo quanto più resterà "sulla collina" a sporcarsi le mani scavando nella terra di un'umanità umiliata e sofferente, fuggendo quelle situazioni ove sempre più sono spinti, costretti, relegati quelli che sono di Cristo, che si vorrebbero non più testimoni, ma amministratori, guardiani di musei, patetiche e appena tollerate presenze in sedicenti agenzie umanitarie.
Urge, allora, interrogarci, così come fa il Custode, sul "Chi siamo?… Qual è lo scopo della nostra missione? Chi siamo noi…? Accompagnatori turistici…?
Mi risuona prepotente alla mente l'invito del profeta: "Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme (Is 52,9)". Rovine che gridano di gioia: un'umanità sepolta e dispersa, rantolante sotto le proprie ceneri, che attende di riveder la luce, di godere del calore di Chi la scuoterà fortemente e soavemente, svegliandola alla vita, per condurla pacificata dalla parte della Vita, fuggendo le false vittorie che promette la morte, un'umanità non più distratta, dimentica, insensibile, quasi incapace di farsi attenta, presente alle fatiche e alle sconfitte dell'uomo, ma, fatta nuova o addirittura ricreata, estranea a sé laddove non ci fosse l'altro da custodire.
Ma come custodire l'altro? Perché è urgente custodire l'altro! Custodire l'uomo! Perché oggi come non mai l' uomo è superstite di se stesso, dopo la grande illusione, la grande sbornia.
Non occorre troppa fantasia per riconoscersi figli di Adamo, eredi dell' antico peccato.
Quanto dice Bialik è efficace a descrivere quello che sta succedendo: "…Molti anni fa questo era il paese dell'utopia e del sogno. Avevamo una patria, trasformavamo la sabbia in frutta, nei deserti scoprivamo l'acqua, il nostro esercito era giovane, e pensava di essere invincibile, combatteva con il cuore. Poi è accaduto qualcosa. E oggi in quell'esercito ci sono molti giovani che si suicidano, o disertano. È la prima volta che abbiamo il problema dell'acqua".
Come all'inizio dei giorni, si ripete la tentazione terribile, atroce, diabolica. È lo stesso Bialik a farsene portavoce: "L'unica soluzione, padre, sarebbe che questa terra venisse sottratta a Dio per essere restituita agli uomini".
Sappiamo che ogni volta che è stato fatto un tentativo in tal senso, siamo giunti sempre a organizzare l'ennesima soluzione finale, allorché il folle di turno travolge carnefici e vittime con la sua pazzia nuova di zecca, originale, inedita, accattivante come una prostituta vestita di ingenuità e giovinezza, incosciente lei stessa dei meccanismi perversi e dei vecchi egoismi che la muovono: un girotondo satanico, un inferno, dove è facile morire, morire all'improvviso, perché "qualcuno ti passa vicino", ci dice Matteo, "e ti accoltella senza che tu ne conosca il motivo".
Dobbiamo ritrovare una terra dove è facile vivere, ritrovare l'uomo, dunque, l'uomo perduto nella terra fatta deserto ove la fame, la sete, la paura, l'angoscia disperdono l'uomo, ogni uomo. Dobbiamo ricercare fonti d'acqua per vivere, fonti d'acqua da donare perché ogni uomo, ogni terra sia accogliente, abitabile, amica. Un' acqua preziosa quanto la vita stessa. Un' acqua per la quale si può, si deve morire. Non trovarla, infatti, equivale a morire.
Tanto tempo fa, circa venti secoli, "sulla collina" dei condannati a morte sgorgò un'acqua: un soldato con una lancia scavò, senza volerlo, senza saperlo, nella profondità del cuore di un uomo crocifisso, era il cuore di Dio, e subito ne uscì sangue e acqua. Con quell'acqua sgorgò anche la Vita. Dove sgorga l'acqua sgorga la vita, chi può negarlo?
Scaglia, ormai al termine del suo lavoro, fa dire a Matteo: ""Fonti antichissime che se esistessero ancora darebbero a chi le possiede forza e sicurezza"…"Chi la possiede (l'acqua) diventa il suo custode e regola pace, guerra e ricchezza".
Fonti antichissime, fonti immortali di acque vivificanti, acque che zampillano per la vita eterna e delle quali l'uomo si deve fare custode: custode dell'acqua, custode della vita, custode dell'uomo. Verrà un giorno, anzi è già venuto, in cui ci sarà chiesto: "Dov'è Abele, tuo fratello?" Continuare a rispondere come Caino: "Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello? (Gn 4,9)" significa non aver ancora capito quale ricchezza è l'uomo, ogni uomo. È condannarsi a essere ramingo e fuggiasco, a nascondersi da Dio, a temere che "chiunque" mi possa uccidere (cfr. Gn 4,12-14).
Forse i nostri giorni devono riflettere molto su questo, l'arsura che sempre più avvertiamo ci scuoterà, ci sveglierà da quel torpore incosciente dei sazi, per non morire di sete.
Custodi dell'acqua, dunque, perché la terra riceva vigore e vita e non divenga un deserto per sempre, inabitabile.
Custodi della memoria del sacrificio di Cristo, del Suo Corpo e del Suo Sangue, memoriale della Sua presenza, sorgente inesauribile di salvezza. Vita donata gratuitamente agli uomini da essere accolta, custodita, adorata, non gettata. Verità che libera. Via sulla quale si intravede, fino a raggiungerla, la vera pace. Quella pace che disseta ogni uomo perché non muoia, ma abbia la vita eterna.
Mons. Carlo Ciattini
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