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Nota dell'autore Diego Fabbri
 

Apocalisse o Speranza ? Perché ho scritto «Al Dio ignoto»
Gli attori, pur con le loro stramberie, velleità e presunzioni, prendiamoli sul serio, guardiamoli sempre come possibili rivelatori di una verità occulta. La loro vocazione intrattenibile, caparbia, quasi guerresca ce li fa apparire come dei mediatori di poesia e di verità. Spesso non sanno che dicendo, annunciando la poesia introducono alla verità, la rivelano. Quando se ne accorgono, cioè diventano coscienti di questa alta funzione che li rende simili a sacerdoti, si esaltano e sono presi da un ramo di follia, e possono compiere gesti memorabili. Perché si accorgono veramente di aver annunciato come verità le parole di Eliot o di Shakespeare, di Dostoevskij o di Blok e ne sono sconvolti tanto si sentono importanti e destinati a un compito di salvezza o di consolazione tra gli uomini.
Ora immaginate che un gruppetto, sette o otto, di questi attori illuminati, toccati da questa sorta di rivelazione riceva una visita inattesa dall'Ospite inatteso che, sconosciuto ai più, annuncia loro un tremendo messaggio rivoluzionario: « Se Gesù Cristo non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana ». Chi viene a dirglielo è un viaggiatore che si chiama Paolo ed ha già detto queste cose, spesso inascoltato, a genti di molti1 paesi semplici e colte, violente e raffinatissime, ed ha ricevuto questa risposta di sufficienza: « Beh, su questa faccenda della resurrezione, ne parleremo un'altra volta », e se ne sono andati alle loro occupazioni. Ma può esistere davvero una occupazione seria se questo inquietante annuncio della resurrezione non viene risolto? E chi più e meglio degli attori potrebbe risolverlo, loro che hanno il dono unico di commemorare gli eventi ripetendoli così come avvennero, ricostruendoli nella loro concretezza, oggi così come accaddero allora ? E gli attori,  questi attori di una piccola,  forse  un po' sgangherata troupe girovaga, son presi dalla idea fissa e ambiziosa di ripercorrere i passi, uno ad uno, della resurrezione senza della quale il mondo moderno non può avere fede che conti e valga. Vogliono far vedere agli spettatori e nello stesso tempo a loro stessi i fatti così come avvennero per trame una conclusione, per aprire una speranza. Questo di! aprire una speranza, di ripetere una certezza, di offrire al termine di un lungo travaglio una verità autentica, che conti davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani mi pare il compito del vero teatro, quel compito che ci veniva indicato dal nostro indimenticabile maestro Silvio d'Amico a cui voglio dedicare questa rappresentazione.
Il nostro è tempo di apocalisse. Spesso a voler interpretare i segni che i tempi ci offrono sembra si tratti di una apocalisse di sterminio, di conflitti sanguinosi, di morte senza speranza, ma il mio compito di autore cristiano ha voluto essere esplicitamente, con questo « Al Dio ignoto », quello di indicare invece una grande, smisurata speranza: che è la speranza nella resurrezione offerta a ciascuno di noi, individualmente, e alla società, e alle nazioni. E' un compito eccezionale che mi sono proposto, e ne sono stato consapevole, se è vero che conoscendo i limiti delle mie forze di poesia e di inventiva, ho eletto come collaboratori uomini come Eliot, Shakespeare, Blok e Dostoevskij. Amici che mi hanno accompagnato fin dagli anni della adolescenza e a cui devo tanto della mia formazione artistica ed umana. Ed altri amici forse meno illustri, ma non meno cari: primeggia una voce di poeta, Vera Gheraxducci, di cui ho scelto con tremore e commozione il canto: « E' passato il tempo... », scritto poche settimane prima della morte e che mi pare una testimonianza straziante della nostra condizione di uomini di oggi. E certe notazioni di Salinger sulla vita e la vera vocazione degli attori che mi son permesso di manipolare e adattare alla speciale articolazione di questo « Al Dio ignoto ». Ma il maggior merito del testo va ai collaboratori eccelsi, quelli che non mentono, e che hanno suggellato la loro verità con l'offerta della loro vita: Paolo di Tarso e gli Evangelisti, testimoni autentici della resurrezione, che ho inteso restituire attraverso le cento finzioni e suggestioni del teatro quali testimoni di verità. La Festa del Teatro Popolare di San Miniato non poteva non essere una festa di verità cristiana, poiché è proprio nell'animo del popolo autentico che son custodite le più autentiche parole di verità del Cristo risorto.
Diego Fabbri Losanna Clinica Nestlée, Martedì 8 Luglio 1980




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