L'uomo senza Dio, ecco cosa ci presenta Edgar
Dilemma del prigioniero, dilemma dell'uomo.
Un dialogare serrato, senza quasi prendere fiato. Un respirare affannato mentre si urlano ragioni e torti, colpe, inadempienze, soprattutto prepotenze! La prepotenza denuncia la prepotenza... quella degli altri però. Si parla senza pensare, riflettere; non c'è tempo per pensare, è troppo urgente avere ragione. Le parole scorrono velocemente in superficie, come la pioggia sul pelo del cane. Rispondere è uno scuotere quell'acqua e nulla più. Si irrita colui che è raggiunto da quegli schizzi, qualche volta taglienti, improvvisi, ma che non bagnano nessuno. Non pioggia che feconda la terra, ma gioco di ragazzi che, fattisi grandi e vecchi, si schizzano con quei grappoli di parole, le ideologie, che non fecondano nulla e nessuno. Non vita sofferta, donata, che partorisce le parole che illuminano, salvano, raccontano la verità, bensì parole che esigono, criticano, accusano, poi progettano alto e fantasioso, ma per altri, mentre costoro non devono nulla. Pretese basate sul sacrificio altrui, sui meriti dei morti, forse martiri di ieri, di cui si appropriano, indebitamente, per accusare e fare altri morti, altri martiri.
È la tragica adolescenza della storia che sempre si ripete! Quando diventeremo grandi? Perché solo allora finiranno guerre, conflitti, tavole rotonde dove per l'ennesima volta si sperimenta che da solo l'uomo non può costruire la pace ma solo la guerra. È in Dio la sorgente della pace vera.
È questo che abbiamo sperimentato davanti alla messa in scena de Il dilemma del prigioniero di David Edgar. Siamo usciti con urla nelle orecchie, con l'amarezza nel cuore, perché per l'ennesima volta l'uomo, pur tra mille dolori, non ha partorito nulla. Ci è stato raccontato bene il tempo dell'uomo, la sua storia. In quelle due ore abbiamo sentito fortemente la nostalgia di Dio. Aspettavamo che entrasse in scena il Grande Assente, per pacificare, ricostruire, far tacere quelle parole che, urlate, divenivano una continua dichiarazione di guerra e la rinuncia a essere uomini!
Edgar ha presentato, in modo superlativo, l'uomo senza Dio e noi abbiamo sentito, come non mai, la nostalgia di Lui; quasi profezia di ciò che minaccia l'uomo man mano che si allontana da Lui, profezia di una nuova Babele: "non più una sola lingua e le stesse parole" (Genesi 11,1), ma confusione e dispersione, perché non si può costruire, senza Dio. Ogni battuta del Dramma diveniva quasi invocazione, preghiera struggente perché entrasse il Santo, o mandasse uno dei Suoi a insegnarci la via della pace:
Signore, ci concederai la pace,
poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese.
Signore nostro Dio, altri padroni,
diversi da te, ci hanno dominato,
ma noi te soltanto, il tuo nome invocheremo
(Isaia 26,12-13). [...]
Come una donna incinta che sta per partorire
si contorce e grida nei dolori,
così siamo stati noi di fronte a te, Signore.
Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori
quasi dovessimo partorire: era solo vento;
non abbiamo portato salvezza al paese
e non sono nati abitanti nel mondo.
Ma di nuovo vivranno i tuoi morti
risorgeranno i loro cadaveri
(Isaia 26, 17-19).
Anche quest'anno, dunque, attraverso l'opera di Edgar, il Teatro dello Spirito ha voluto essere occasione per riflettere e meditare sull'uomo e su Dio. Ha voluto dire, nel solco di una Tradizione, forse in modo inconsueto, quasi una Teologia dell'assenza, che è necessario ripartire da Dio. È infatti nel mistero del Verbo Incarnato che trova vera luce il mistero dell'uomo. Ed è Cristo che, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche l'uomo all'uomo e gli rende nota la sua altissima vocazione (cfr. Gaudium et Spes n. 22).
Diversamente il mistero diviene enigma angoscioso e l'uomo si dimena senza andare oltre la sua fragilità, il suo limite, il suo egoismo che solo in Cristo può oltrepassare (Passover) e giungere oggi alla pace, domani alla vita.
Carlo Ciattini è consigliere della Fondazione Istituto Dramma Popolare
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