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Agipress - La recensione di Stefano Mecenate
 

Il nemico
"è necessario aprire una porta per far entrare il demonio?"
"è necessario aprire una porta e varcare la soglia di una chiesa per trovare Dio"
Intorno a questo quesito e alle conseguenze che esso comporta ruota Il nemico di Julien Green che caratterizza il clou della LXI Festa del Teatro a San Miniato (PI). La storia del Dramma Popolare di San Miniato, da quel lontano 1947, è un susseguirsi di drammatici interrogativi sul senso del divino e sul ruolo dell'umanità. Pagine illustri si sono succedute dopo il celebre La Maschera e la Grazia di Henry Gheon che ha dato vita a questa tradizione di rilevanza nazionale. Prime nazionali di un "teatro dello Spirito" nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale, nello sgomento di un eccidio che ha sconvolto la storia umana e che originava, in molti, il desiderio e il bisogno di ritrovare il senso dell'esistenza e il rapporto con il divino. Il nemico è un opera del 1954, quindi della maturità dell'Autore, e in essa è forte il richiamo ad una visione del destino dell'uomo chiamato a fare i conti con il Male assoluto, metafìsico, presente e operante nella vita di ogni giorno, pronto a insinuarsi anche nelle anime più limpide, capace di seduzioni inenarrabili. Ma, se il Male assoluto ha questa forza dirompente nelle coscienze, è altrettanto vero che Dio, nel suo progetto di salvezza, guarda all'uomo con comprensione e affetto, capace di riportare luce anche nelle tenebre più oscure. La disperazione è la colpa più grande "...il mio più grande peccato sarà stato quello di non voler accettare la condizione umana" scrive Green nel suo diario nel 1949. La lettura che il regista, Carmelo Rifici, ha voluto dare di questo testo teatrale propone un'interessante e significativo accostamento tra l'ambientazione reale dell'opera, un castello di un paese della Francia alle soglie della Rivoluzione Francese, e la realtà del dopoguerra: allora come ieri e, del resto, come oggi; tutto resta uguale perché in qualche modo uguale resta l'uomo, caduco e talvolta incapace di ascoltare la voce dell'anima, talaltra incapace di darle ascolto.
La regia di Carmelo Rifici è stata certamente capace di rendere queste emozioni e questi passaggi degli animi, adeguatamente aiutata dalle musiche di Daniele D'Angelo, come del resto le scene di Daniele Spisa hanno ben reso quelle atmosfere gotiche che il testo teatrale di Green sottolinea e i costumi di Margherita Baldoni nel loro fantasioso realismo (almeno per quelli dell'ambientazione settecentesca) ne hanno accentuato la suggestione. Grande come ce l'aspettavamo da un'artista del suo calibro, la prova di Elisabetta Pozzi, una Elisabeth credibile sia nelle vesti illuministe che in quelle, in certi attimi più drammatici, del XX secolo. Una recitazione misurata che ha sottolineato con sapienza quei conflitti del suo animo e quelli non meno drammatici di Pierre.
Un Pierre davvero ben interpretato da Tommaso Ragno il cui uso della parola ha davvero emozionato. Interessanti anche le performances di Marco Balbi, Philippe de Silleranges, che, conscio della difficoltà del suo personaggio, la propone con grande professionalità e senso della misura, e di Alessio Maria Romano, Jacques, il cui ruolo, altrettanto difficile, è trattato con attenzione ed equilibrio. Un plauso va anche a Carlotta Viscovo, la balia, e agli altri attori che hanno affiancato i protagonisti, Tindaro Granata, Agostino Riola, Noemi Condorelli Repliche fino al 25 luglio.

STEFANO MECENATE, Agipress 24 luglio 2007




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