Bartolomeo De Las Casas nacque nell' anno 1484 a Siviglia da Pedro, un mercante originario di Tarifa e da una signora di "Sosa". Aveva una sorella più vecchia, Isabella, ed era restato orfano di madre in giovanissima età. Siamo sicuri della sua data di nascita a motivo di una sua precisazione fatta in una deposizione del 19 settembre 1516 e conservata nell'Arcchivio de Indias di Siviglia, ove giura "su Dio e i santi ordini che ha ricevuto e sul vangelo" di avere trentuno anni.
Il 25 settembre 1493, diciassette velieri e milleduecento uomini salpano alla volta dell' "Isola di Hispaniola" (Haiti).
E' il secondo viaggio di Cristoforo Colombo verso le isole del "Nuovo Mondo".
Pedro De Las Casas partecipa a questa grande spedizione nella speranza di intraprendere nuovi commerci e per cercare un pezzo di terra da sfruttare.
Bartolomeo ha appena nove anni e viene affidato alle cure della sorella Isabella.
Rivedrà il padre nel 1499 e partirà con lui, alla volta di Haiti, nel 1501.
Di questo periodo non sappiamo nulla di lui ma l'ipotesi più credibile è che Bartolomeo abbia intrapreso la carriera ecclesiastica ricevendo qualche ordine minore. Abbiamo invece notizie dettagliate sugli anni successivi grazie ai suoi racconti autobiografici che rivelano accanto a una memoria straordinaria una capacità di osservazione ancora più eccezionale.
Ordinato sacerdote nel 1510, di fronte alla ferocia dei coloni e alle sofferenze degli Indios, non risparmiò spietate denuncie al sistema di sfruttamento schiavistico dell' encomienda che attirarono su di lui le persecuzioni degli ambienti spagnoli locali e al tempo stesso l'attenzione del governo centrale. Il Cardinale Francisco de Cisneros, infatti, in quanto reggente del regno in attesa che il giovane Carlo V ne assumesse il governo, lo incaricò di tutelare i diritti degli Indios e al tempo stesso interessò anche il sovrano alla causa che il Las Casas difendeva.
Nel 1523 Bartolomeo vestiva l'abito domenicano che lo metteva al sicuro, come fa notare Franco Cardini, "dalle persecuzioni dei notabili criollos e degli stessi prelati spagnoli incaricati di reggere la chiesa coloniale, e con gli schiavisti spesso in combutta". Da allora, continua il medesimo, "tempestò sistematicamente il governo centrale di denunzie, resoconti, suppliche e documentazioni stringenti sugli abusi degli spagnoli e sulle sofferenze degli indigeni."
A queste denuncie che vennero riassunte in un tristissimo documento - la Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie - si deve la promulgazione da parte di Carlo V, nel 1542, delle "Nuove leggi sulle Indie", un autentico caposaldo di saggezza e di equità.
Tali leggi disponevano che i persecutori degli Indios potevano essere condannati, imprigionati e perfino soggetti alla pena capitale.
Conclude, al proposito, lo stesso Cardini: "Certo, la lontananza delle colonie dal centro del governo, la difficoltà delle comunicazioni, la debolezza delle istituzioni del governo coloniale e i frequenti casi di collusione e di corruzione fecero sì che tali sagge leggi restassero in gran parte lettera morta: ma il processo era avviato, il precedente era stato posto".
"Las Nuevas Leyes", riconoscendo i fondamentali diritti degli indigeni, "si rivelarono una autentica benedizione per le popolazioni autoctone. Si pensi al fatto che quando gli spagnoli presero le spiagge di Cebu, nel 1565, le Nuevas Leyes erano in vigore e protessero i filippini contro i colonizzatori e i soldati, e furono preti (come De Rada e Herrera) arrivati sulle stesse navi dei colonizzatori che continuamente comunicavano per iscritto in Spagna e al re ogni- qualvolta Legaspi e i suoi violavano tali leggi. Non per nulla nel primo concilio di Manila, nel 1585, indetto dal nuovo vescovo domenicano Salazar, il primo provvedimento preso fu l'abolizione della schiavitù. Ciò non sarebbe potuto accadere senza il lavoro, la passione e la sofferenza di Bartolomeo De Las Casas. Senza di lui i filippini oggi avrebbero potuto essere una minoranza costretta a vivere nelle riserve, visitati da turisti curiosi"
Minacciato di morte dai suoi avversari che aveva toccato nei loro interessi, nel 1547 dovette lasciare la sede di Chiapas, dove era stato nominato vescovo nel 1544, e ritornare in patria.
E' in questo periodo che ha luogo la famosa Disputa di Valladolid tra Las Casas, che reclama le qualità morali degli Indios che ha potuto osservare con i suoi stessi occhi per tutto il tempo della sua missione, e Sepulveda .
Il papa Paolo III, con una Bolla dell'anno 1537, proibiva la schiavitù e aggiungeva esplicitamente, con tutta chiarezza, la dottrina che gli Indios come i bianchi hanno un' anima immortale e sono in grado di ricevere la dottrina cristiana e i sacramenti.
"Ma la grande opera dell'evangelizzazione, nonostante il monito del papa," scrive il Lortz, "continuò ad essere gravemente macchiata dal brutale egoismo dei conquistatores , che avevano degradato a schiavi gli indigeni, sfruttandoli vergognosamente e causando loro malattie e degenerazione psichica. Quanto fosse esiguo il successo del monito del papa di fronte all'avidità, indegna dei cristiani, dei conquistatori, lo dimostra la lotta durata quasi 50 anni del domenicano Bartolomeo De Las Casas."
Las Casas non è stato l'artefice delle grandi realizzazioni che fanno onore ai missionari francescani, domenicani, agostiniani e gesuiti: educazione dei figli dei cacicchi, redazione di grammatiche e di catechismi nelle lingue del paese, amministrazione dei villaggi indiani.
Il suo vero compito, il suo ministero non era quello. Egli ha operato a contatto diretto con il potere come Procuratore degli indiani, in perfetto accordo con i frati predicatori del Nuovo mondo da lui stesso reclutati in Spagna, i quali, diffondendo i suoi scritti, venivano trattati come dei pericolosi agitatori.
Al suo appello, rivolto nel suo ultimo anno di vita a Pio V, è dovuta l'istituzione, nel 1568, da parte dello stesso pontefice, di una commissione di cardinali che doveva evitare che la causa del Vangelo si confondesse, nelle Indie, con gli interessi temporali della monarchia spagnola e portoghese e dalla quale nascerà, nel 1622, la Congregazione per la Propagazione della Fede, che riserverà alla Santa Sede l'evangelizzazione dei paesi colonizzati dagli europei.
Nel 1704, Clemente XI confermerà la bolla Sublimis Deus di Paolo III e in quella occasione farà osservare come i papi fossero comunemente accusati di concedere agli indiani dei diritti superiori a quelli dei loro conquistatori.
La storia è assai più complessa delle sue caricature!
Vogliamo concludere questi brevi cenni sulla vita di Las Casas ascoltando le parole del Santo Padre, Giovanni Paolo II, che celebrando la santità dell'indio, il beato Juan Diego Cuauhtlatoatzin, ebbe a dire: "Nell'accogliere il messaggio cristiano senza rinunciare alla sua identità indigena, Juan Diego scoprì la profonda verità della nuova umanità, nella quale tutti sono chiamati ad essere figli di Dio. In tal modo facilitò l'incontro fecondo di due mondi e si trasformò in protagonista della nuova identità messicana."
"Di qui Bartolomeo, il difensore degli indigeni, di là Juan Diego, un indio: una Chiesa latinoamericana che vuol camminare sulle rotte del Vangelo ha ormai bussole sicure." Così scriveva Gerolamo Fazzini su "Avvenire", il 2 ottobre 2002, allorché prendeva il via il processo di canonizzazione di fra Bartolomeo De Las Casas, nell'antica chiesa del convento domenicano di San Pablo, dove fu consacrato vescovo.
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