LO STRANIERO INCANTATORE
In tempi in cui non esiste quasi più una seria e credibile ricerca al di fuori del teatro ufficiale e borghese che tutto ha inglobato, una delle rare alternative continuano ad essere gli spettacoli allestiti dall'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, sempre pronto a presentare, da poco meno di 50 anni a questa parte, opere di forte valenza spirituale non clericale. La scelta, che non ha fatto eccezione neppure quest'anno, è caduta, per il luglio del '95, mese in cui le rappresentazioni si svolgono nella storica ed affascinante piazza del Duomo, su MAGIC, due tempi di Gilbert K. Chesterton, autore inglese di buona fama sia come saggista che come teologo, ma quasi sconosciuto in qualità di drammaturgo, se si eccettuano, in Italia le divertenti eppur profonde STORIE DI PADRE BROWN; la loro notorietà si deve, anche oggi, alla fortunata riduzione televisiva di cui fu protagonista, almeno vent'anni fa, l'indimenticabile ed insuperabile Renato Rascel.
E' stata quindi una felice scoperta per la critica ed il pubblico, che per le sei notti di un bellissimo luglio ha affollato il teatro all'aperto situato in posizione freschissima, trovarsi di fronte ad uno dei testi teatrali del polemista, critico, illustratore, poeta, romanziere Chesterton, scritto nel 1912, e nel quale, guarda caso, si affrontano due dei temi maggiormente ricorrenti in quest'ultimo squarcio di secolo: la definitiva caduta vuoi del razionale che del soprannaturale e l'affermarsi al loro posto, come valori ritenuti alternativi, del magico e dell'occulto. Il testo, che quasi nessuno conosceva, nella traduzione di Valerio Simonelli, offre la possibilità di riflettere che anche oggi, in un mondo computerizzato, virtualizzato, indifferente ai drammi dello spirito, può accadere il miracolo: ci si può trovare di fronte ad una provocazione che induca ad interrogarsi, a verificare che cosa c'è nel retroterra di ognuno di noi, se posto di fronte ad un fatto nuovo, ad un incontro inaspettato.
Qui la presenza inusitata è quella dello Straniero che si aggira misteriosamente nel solitario parco del Duca inglese, inseguito con possibilità di successo da Patricia, l'incantata e sognatrice nipote dell'anziano nobiluomo, ma che dovrà misurarsi con il positivismo del dottore, il prammatismo dell'efficiente fratello, la riflessione circospetta del giovane pastore, il self-control del maggiordomo.
Che lo Straniero sia in realtà un prestigiatore, ingaggiato dall'ironico Duca, lo si saprà solo alla fine, ma non ha soverchia importanza: i miracoli sono accaduti, il trascendente ha ritrovato il suo posto, ne sono stati travolti un po' tutti e, primo fra i presenti, il razionalissimo fratello di marca quasi americana, che sentirà torcersi le viscere e la coscienza di fronte a luci che si alzano e si abbassano, a sedie che si muovono da sole, a finestre che si aprono e si chiudono senza che alcuno le tocchi, partecipando allo scioglimento finale con grida di dolore. A meno che, infine, non si voglia intendere quale unico, insopprimibile miracolo, che si affiancherà a quello della fede, il consolidarsi del sentimento dell'amore, che legherà gioiosamente Patricia allo Straniero.
Anche se si tratta di un'opera minore di chi scrisse L'uomo chiamato giovedì, Uomo vivo, biografie su San Francesco d'Assisi e Tommaso d'Aquino, Orthodoxy, straordinario saggio sulla teologia cristiana, pure il lavoro possiede una sua freschezza non disgiunta da ironia tali da appagare il palato del pubblico samminiatese, proveniente, come si sa, dalle città vicine, dalla costa etrusca, dalla Versilia e tutt'altro che sprovveduto di fronte all'evento teatrale. Del quale ci dispiace solo - e lo abbiamo ripetuto più volte di fronte ad eventi culturali di spessore assai maggiore - che dopo le repliche all'ombra della Rocca di Federico II di Svevia, l'allestimento non circoli in qualche altro teatro della penisola, pronto a sopportare i giudizi di un pubblico diverso. In questa occasione, intelligente e concreta la regia di Mario Scaccia, che ha scelto per sé il godibile personaggio del Duca, nel quale si cala a pennello, comprese le citazioni di Bernard Shaw, amico-nemico di Chesterton.
Funzionale la scena da "Little England" firmata da Mario Padovan; tutte ispirate a quelle dei thrilling le originali musiche di Federico Bonetti Amendola, in perfetto accordo con il gioco delle luci di Andrea Travaglia. Meritati applausi per Corrado Olmi nelle vesti del medico; perfettamente al suo posto il complesso dei giovani: Chiara Sasso, Walter Da Pozzo, Gabriele Tuccimei, Marco Carbonaro, Raffaele Buranelli, che ci auguriamo di ritrovare via via in futuro sui nostri palcoscenici.
ELDA DI SACCO, La Polena settembre 1995
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