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La recensione di Raffaello Lavagna
 

La «Rosa Bianca» di Dante Guardamagna
Nuova svolta all'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato? Passaggio, dalla ricerca abituale di un testo moderno (a carattere spiccatamente spirituale), alla ricerca di un copione, sì, moderno, ma che aggiunga anche il rinvenimento di un dramma più attuale, più politico? Questi gli interrogativi di fronte alla scelta di quest'anno, a San Miniato, da parte di chi ha seguito, sempre con simpatia e viva attenzione, questa più che trentennale festa teatrale.
E ancora: si tratta di un aggiornamento dettato dai tempi? Dalle contingenze politico-sociali? O di un postulato popolare che nasce dalle cose, dagli avvenimenti che obbligano un po' tutti a scendere dal piano culturale astratto a quello pratico e politico? Un desiderio, una necessità di adeguarsi più che alla letteratura, alla vita? O, per finire, il bisogno di svincolarsi dall'usuale arena teatrale del palcoscenico, per immettersi nella platea del teatro documento-inchiesta?
Questo il nugolo degli interrogativi che abbiamo raccolto, la sera della prima, a San Miniato, nel nuovo spazio teatrale di Piazza del Seminario, dove è stato rappresentato la « Rosa Bianca » di Dante Guardamagna, che ha ripreso una sua sceneggiatura, dallo stesso tema, di una precisa e documentata inchiesta televisiva di una diecina di anni fa, condotta da Aldo Falivena. Naturalmente le risposte agli interrogativi sono state diverse: alcuni si sono rallegrati di questo scendere in campo politico aperto, mentre altri ha visto (in questo slittamento dal passato livello artistico-spirituale) un abbassamento di tono, una non necessaria, e, non richiesta, velleità di adeguarsi a tutti i costi.
Comunque si voglia giudicare questa scelta, e ovun-que ci si voglia collocare, da una parte o dall'altra, « bisognava arrischiare — ha detto il direttore don Luciano Marrucci — tentare qualcosa di nuovo, aprire una nuova strada »... con il sottinteso intuibile rischio: che si potesse anche infilare una strada sbagliata, o scegliere un viottolo che porta fuori via... però, con la possibilità, anche, di imbucare una ardita scorciatoia, che ti porta più presto alla mèta desiderata! Ora, sicuramente, la drammatizzazione di un evento realmente accaduto (e questo è il caso di quest'anno) ha nella sua stessa matrice, nella materia trattata, la difficoltà di trovare la componente trasfigurante, quel quid misterioso che trasformi la materia in poesia.
Personalmente, siamo per il tentativo, per l'avventura dell'alchimia, per la prova del fuoco, per la ricerca e la sperimentazione, perché (chi si sente) tenti, nella speranza che spesso una sorprendente somma di elementi casual possa coagulare improvvisamente, e darti la componente chimica teatrale  desiderata.
Ma vediamo, la materia prima, il tema, il soggetto del dramma di quest'anno, che è fornito dalla rivolta, diventata famosa, di un gruppo di giovani universitari di Monaco di Baviera, rivolta terminata con la loro decapitazione, per il loro opporsi al nazismo hitleriano. Rivolta, che assurse a simbolo della resistenza pacifica contro un regime violento, e violentatore delle fondamentali libertà umane: quella civile, quella religiosa, e quella culturale. Questa la tematica, rivissuta dall'autore, che ha trovato modo di tipicizzare il tutto attorno a tre personificazioni: quella civile, nel contrasto dei giovani antagonisti con il presidente del tribunale popolare del Terzo Reich; quella religiosa, presentando il celebre Vescovo di Monaco Von Galen, deciso, e preciso, denunciatore delle teorie antiumane e antireligiose di Hitler; e la componente culturale, impersonata dal professor Kurt Huber, l'intellettuale, il maestro disarmato di questa rivolta ideale del gruppo giovanile universitario bavarese (che si riconosceva nella sigla della « Rosa Bianca »), giovani che si faranno arrestare volontariamente, in piena università, per dare così più forza e risonanza alla loro protesta e al loro gesto, distribuendo volantini con frasi inneggianti appunto alle libertà fondamentali umane. Quindi, un dramma scopertamente didascalico, che non ha nessun timore di esporsi... per esporre fatti e problemi, vissuti, anzi rivissuti quasi in forma oratoriale, e per denunciare un razzismo fonte brutale di guerra e di distruzione; in una denuncia di resistenza passiva, che, senza retorica e senza fanatismi, si offre come vittima inerme, ma vincente alla fine, perché la vittoria è sempre della ragione, del bene anche quando è soccombente.
Ma passando alla realizzazione di questo non facile impegno, è doveroso dire della grande capacità dell'autore Guardamagna, che ha tirato fuori tutta la sua abilità di sceneggiatore provetto (lo ricordiamo autore televisivo de « I miserabili », « Cristoforo Colombo », « Puccini », « Paganini », per ricordare i più noti), per arrivare al regista Giulio Bosetti, che avremmo visto volentieri impegnato nel cast degli attori, e proprio nella figura del presidente del tribunale, più che nelle due brevi apparizioni del Vescovo Von Galen, e del Reverendo Speer; però, comprendiamo la scelta di Bosetti che ha voluto impegnarsi di più nella regia, controllare l'andamento generale con più agio, soprattutto in una vivacizzazione di un testo di per sé statico; e dobbiamo dire che il suo sforzo (di essere fuori) è stato coronato da un meritato accendersi del dramma, anche perché il ruolo del protagonista, lo spiritato presidente del tribunale: Freisler, è stato affidato alla duttilità di un Franco Mezzera in gran forma, interprete allucinante della follia del demiurgo nazista. In una delle sue migliori prestazioni, Tino Schirinzi, un ottimo, pacato professor Huber, che nutre con paziente e sostenuta logica i giovani pacifici resistenti, tra i quali spiccano i due giovani, fratello e sorella: Hans e Sophie Scholl, impersonati (nella giovanissima età) dai già dotati, Luca Pucci e Silvia Settecasi, mentre nei ruoli universitari hanno recitato i due bravissimi Alberto Mancioppi e Valentina Montanari (una parentesi: questa coppia di attori giovani, come temperamento, li vedremmo volentieri nei rispettivi ruoli degli shakesperianì Romeo e Giulietta, e questo per segnalar! con una indicazione critica precisa!).
Per finire, e dire di una Marina Bonfigli, che, con la sua pur breve ma valida presenza, ha fatto da sostegno, e da pilastro (assieme al severo e vibrante Bosetti, e al forte ed impegnato Giorgio Favretto) alla fitta schiera di giovani attori, tutti ben affiatati ed entusiasti, e di cui abbiamo simpaticamente applaudito anche l'imbarazzato e smarrito ringraziamento, alla fine, indubbiamente presi tutti in contropiede dal vivo successo ottenuto dallo spettacolo.
Raffaello Lavagna L'Osservatore Romano, Roma, 30 Luglio 1977




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