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La recensione di Sipario
 

Appuntamento atipico nel panorama delle rassegne estive, la "Festa del teatro" di San Miniato ha portato nello spiazzo antistante Piazza del Duomo Ia riduzione teatrale di Billy Budd: testo di Herman Melville scritto nel 1891 pochi mesi prima della morte e pubblicato postumo nel 1924. Anche nella sua cinquantunesima edizione, la struttura del Festival è rimasta immutata, con la rappresentazione di un unico spettacolo che scava nei grandi temi della Fede, del rapporto tra il bene e il male, tra la vita e la morte, attraverso la riduzione di opere di grandi autori del passato, spesso riscoperte proprio per l'occasione. Cosi è stato anche per il testo di Melville, messo in scena in "prima" europea, un dramma personale e collettivo che si consuma nel microcosmo dell'Indomita, nave da guerra della marina inglese, nell'anno 1798.
Billy Budd è un giovane marinaio arruolato a forza e destinato al compito di gabbiere di parrocchetto, un'anima pura che cattura immediatamente l'attenzione di John Claggart, claudicante maestro d'armi dal passato oscuro e dal presente tormentato. Anche Edward Vere, il capitano, detto "lo stellato" perché scruta il cielo notturno alla ricerca di un segno che gli indichi la via, e tutto l'equipaggio, restano colpiti dal candore di questo ragazzo. Ma Claggart ha dentro di sé qualcosa di più: la rabbia della solitudine, il ricordo di un passato da cui fuggire, l'angoscia degli anni che pesano e sporcano i ricordi, un macigno che il maestro d'armi catapulta addosso a Billy Budd sotto forma di calunnia. Incapace di difendersi, di articolare credibili argomentazioni a proprio favore contro accuse ingiuste, Billy colpisce e uccide Claggart e, per la legge del mare, viene condannato all'impiccagione.
La vicenda, narrata in un luogo flashback, si apre nell'atmosfera fumosa e incerta dei fantasmi che tornano dal proprio passato, come nella prima scena nell'Amleto, a raccontare la propria verità. Ma non c'è acredine nel ricordo, né richiesta dì vendetta, mentre il capitano Vere ripercorre le tappe della storia dì Billy. Soltanto la sensazione dell'ineluttabilità del destino, che scorre silenzioso accompagnando il viaggio della nave, metafora di ogni viaggio terreno.
Elementare nelle sue dicotomie, il racconto di Melville acquista nella riduzione teatrale di Enrico Groppali una forza tragica e un vigore allegorico non comuni. Ciò grazie alla bianchissima nave petrosa ideata dallo scenografo Pietro Castella, che campeggia come un'icona muta nelle Piazza, alla composta regia di Sandro Sequi, che privilegia la linearità del racconto adattandolo ai tratti di ciascun personaggio. E soprattutto alle caratterizzazioni dei protagonisti: un sofferto e assolutamente reale Corrado Pani nei panni del "maledetto" Claggart, un luminoso Massimo Foschi, che regala al capitano allo stesso tempo compostezza e irrequietudine, un Maximilian Nisi capace di candori sinceri e di una buona padronanza dei tempi. Ottimo l'impegno del resto del cast, con una nota particolare per Maurizio Gueli e Giancarlo Condè, con un risultato finale che unisce con naturalezza, all'interno della stessa rappresentazione, valore morale e godibilità scenica.
Sipario, novembre 1997




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