La recensione
Savonarola abita a Monaco
Che succederebbe se Fra Girolamo Savonarola tornasse sulla terra? Thomas Mann provò a immaginarselo nel racconto "Gladius Dei" in cui un giovane avvolto in un mantello e incappucciato si aggira nella Monaco del 1902, l'anno in cui fu scritta la novella. Il frate incede cupo e risoluto, dribbla con noncuranza due graziose fanciulle «in vena d'avventure»; la sua attenzione è invece attratta da un negozio d'arte varia. Una piccola folla si accalca davanti alla vetrina in cui è esposta la riproduzione di una moderna Madonna dipinta da un giovane artista di successo. La Madonna del racconto di Mann deve assomigliare più all'omonima rock star di oggi che alla tradizione iconografica di Raffaello se il Savonarola redivivo entra come una furia nel negozio a reclamare l'immediato ritiro dalla vetrina del dipinto oltraggiato e la sua distruzione su un rogo. Il racconto si conclude con il povero Savonarola messo bruscamente alla porta da un robusto commesso.
Forse per concedere un'altra opportunità al suo frate, che doveva essergli tutto sommato simpatico, Mann pensò bene di farne il protagonista, tre anni dopo, del suo unico, dramma compiuto, «Fiorenza», e di mettergli di fronte un antagonista degno di lui e un po' più importante di un bottegaio bavarese: Lorenzo de' Medici. Come dire, il Rinascimento ascetico, punitivo e un po' iettatorio di Savonarola (profetizzava catastrofi e punizioni divine se l'empia e godereccia Firenze non si fosse decisa a dargli retta e a fare penitenza) e il Rinascimento laico, lussuoso e lussurioso del Magnifico. Un bello scontro, altro che De Mita contro Craxi, e certo doveva affascinare il nordico e protestante Mann, compiaciuto anche dall'idea di maneggiare come comprimari personaggi quali Angelo Poliziano, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Luigi Pulci, oltre ai due figli di Lorenzo, Piero e Giovanni. E poi Firenze stessa come personaggio, ritratta nelle vesti di Fiorenza, avvenente cortigiana amata dal Magnifico ma anche dal giovane Savonarola, secondo qualche testimonianza del tempo. Fiorenza come Firenze, allegoria facilina se si vuole ma ineccepibile e che permette a Mann di mettere in scena un bel duello finale tra i due antagonisti per il possesso di Fiorenza-Firenze.
«Fiorenza» è stato allestito per la prima volta in Italia, alla Festa del Teatro di San Miniato da Aldo Trionfo con la collaborazione di Lorenzo Salveti: una regia ammirevole, ed esemplare, per l'intensità e la nitidezza con cui sono messe a confronto grandi idee e grandi protagonisti senza cadere nella trappola di un kitsch da sceneggiato televisivo di ambiente storico, sempre in agguato quando sono in scena personaggi storici di quella portata. Altro merito di Trionfo e del suo collaboratore all'adattamento Marco Bongioanni è stato quello di utilizzare proprio le prediche del Savonarola, che si rivela più dotato di senso del teatro di Thomas Mann. Eccellenti i due protagonisti. Arnoldo Foà, un Lorenzo gran signore, malinconico e distaccato in attesa della morte. Virginio Gazzolo, un Savonarola apocalittico e fiammeggiante, quasi presagio di quel rogo che, sei anni dopo la morte del Magnifico, lo divorerà.
Rita Cirio L'Espresso, 3 Agosto 1986
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