La salvezza e un bimbo
Da tempo L'Istituto del Dramma popolare di San Miniato si premura di presentare testi che abbiano il carattere della novità e posseggano, per così dire, determinati requisiti spirituali. Nel corso degli anni, un riferimento costante alla drammaturgia cattolica ha favorito la messa in scena di autori solitamente dimenticati dalla programmazione teatrale italiana, dando spazio a spettacoli non comuni.
L'anno scorso ci fu il remake del Capanno degli attrezzi di Graham Greene; in precedenza toccò a scrittori come T.S. Eliot o Elie Wiesel.
Stavolta, nella cronica difficoltà di reperire opere nuove italiane, l'istituto ha attinto ancora al sostanzioso serbatoio della drammaturgia britannica. Ne è venuto fuori Il vento del cielo di Emlyn Williams, attore, regista e autore teatrale, attore, scenografo e regista cinematografico gallese nato nel 1905 e scomparso lo scorso anno.
Poco noto in Italia, Williams appartiene a quel genere di teatranti che attingono le loro fortune più dai palcoscenici che dalla pagina scritta. Come attore si distinse nel repertorio shakespeariano, ma fu interprete brillante anche di numerosi lavori suoi, compresi alcuni thriller di successo. Negli anni '50, poi, si affermò con una serie di letture tratte dai romanzi di Dickens e con un recital basato sulle poesie di Dylan Thomas. Insomma, di tutto un po', assecondando una vena ricca di versatile curiosità.
In questo filone etereogeneo ma sempre fortunato s'inserisce Il vento del cielo (stasera al teatro D'Annunzio di Pescara, per la 36a stagione estiva dell'Ente manifestazioni pescaresi), testo scritto nel 35 ma rappresentato soltanto dieci anni più tardi al Saint James di Londra, giusto all'indomani della fine della seconda guerra mondiale.
Per singolare similitudine, la vicenda è ambientata nel 1856, appena cessata cioè l'inutile guerra di Crimea. Siamo a Blestin, un villaggio gallese, e i soldati di Sua maestà tornati in patria portano addosso i germi del colera contratto all'Est.
L'epidemia incalza e il paese muore, sommando dramma a dramma, già sconvolto da precedenti sventure: nel ricordo di un tragico naufragio nel quale perirono decine di ragazzi, da undici anni non nascono più bambini, non esistono più né chiesa né fede, amore e speranza sono parole dimenticate.
In questo mondo perduto, animato soltanto da fantasmi, arrivano mister Ambrose Ellis e mister Pitter, rispettivamente proprietario e direttore di un parco divertimenti a Birmingham. I due sono alla ricerca di un presunto «nano», un fenomeno da baraccone capace di eccezionali imprese e arcane memorie; in realtà il nano è il ragazzino Gwyn, figlio di Bet, cameriera in casa della vedova Dylis Parry. Nei cinque giorni in cui si svolge l'azione, il piccolo Gwyn, come un novello Messia, sana le piaghe di Blestin: il popolo gli si stringe attorno cantando, i malati abbandonano l'ospedale, una luce soprannaturale infiamma gli animi e riscalda i cuori.
Finché Gwyn, attirando su di sé il morbo letale, salverà gli altri sacrificando la propria vita.
Opera palesemente spiritualista, di matrice cattolica, The wind of Heaven suggerisce a chiare lettere una interpretazione fideistica, basata sulla Croce e la volontà di redenzione degli uomini.
Per nulla tentato da letture laiche, il regista Franco Meroni affida ai personaggi valori simbolici e riflessioni mistiche, sottolineando le frequenti citazioni evangeliche. Gli attori sono di qualità, a cominciare dalla strana coppia Ambrose-Pitter, formata da Aldo Reggiani e Arnaldo Foà; quindi Nunzia Greco, Angela Cardile e il ragazzino Mattia Cominotto.
La scena è di Stefano Pace.
MASSIMO CUTO', Il Centro 26 luglio 1988
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