Bartolomeo convinse Carlo V
BARTOLOMEO de Las Casas era il figlio di un colonizzatore spagnolo sbarcato nel Nuovo Mondo subito dopo Colombo; quando il padre lo portò con sé a Haiti, nel 1501, aveva sedici anni. Coinvolto nel saccheggio operato dai suoi compatrioti, che dichiarando di voler portare il Cristianesimo derubavano e si asservivano gli indigeni senza peritarsi di ricorrere a torture, stupri, esecuzioni di massa, col tempo se ne disgustò e cominciò a denunciarlo a gran voce, non senza pestare i piedi a molti; e forse la sua decisione di indossare il saio domenicano fu per mettersi sotto la protezione delle autorità ecclesiastiche. In ogni caso per mezzo secolo quest'uomo irriducibile continuò la sua battaglia per il riconoscimento della dignità umana dei presunti selvaggi, e alla lunga la vinse, quando Carlo V promulgò le «Nuove leggi sulle Indie» in cui si infliggevano severe condanne ai persecutori, degli indigeni. Con l'episodio del decisivo incontro tra il domenicano e l'Imperatore, ormai vecchi entrambi, culmina il romanzo dello scrittore cattolico tedesco Reinhold Schneider che Roberto Mussapi ha sobriamente e intelligentemente ridotto per la cinquantasettesima Festa del Teatro a San Miniato, col titolo appunto di Bartolomeo de Las Casas. Si comincia col protagonista che torna a casa su una nave dove incontra un altro reduce dal Nuovo Continente, ricco ma coi rimorsi delle atrocità cui ha assistito e che parzialmente racconta. Segue, dopo qualche schermaglia preliminare, il grande confronto davanti a Carlo V tra Bartolomeo e il giurista Sepùlveda, secondo cui la religione va portata con la spada; soprintende il Cardinale Loaisa, presidente del Consiglio delle Indie e favorevole a questa posizione. Sepùlveda attacca Bartolomeo anche sul piano personale, accusandolo di avere fatto parte del sistema, e favorito tra l'altro l'importazione di schiavi negri da impiegare nel Nuovo Mondo. Bartolomeo non nega, anzi, si autodenuncia e chiede ammenda, ma non per questo demorde; e afferma audacemente che il compito del cristiano non è di imporre la sua fede, ma di recarne testimonianza con l'esempio. In suo favore viene a parlare anche il possidente pentito della nave. Infine Carlo, che ha ascoltato in silenzio, si pronuncia. Per dar vita al migliore spettacolo ascoltato a San Miniato da diversi anni a questa parte questo testo dialettico e appassionante si avvale di una eccellente regia di Giovanni Maria Tenti tutta al suo servizio, nel senso che si limita a creare, in una scenografia neutra di Daniele Spisa sviluppata per lungo, dei suggestivi fondali con proiezioni digitali (di Carlo Fiorini e dello stesso Spisa) - un mare, un chiostro, poi anche immagini di guerre e soperchierie e dittature - per il resto lasciando spazio alla dizione, sia pur microfonata, degli attori: Beppe Chierici, Franco Sangermano, Walter Toschi, un concentrato Renato De Carmine come Carlo V, e come Bartolomeo, un Franco Graziosi che con la barba bianca assomiglia irresistibilmente a Eugenio Scaffali, e come il grande giornalista cerca di convincere ragionando con calma e senza retorica. Due ore, si replica fino al 23.
Masolino D'Amico - La Stampa 20 luglio 2003
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