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Il Sole 24 Ore - La recensione di Antonio Audino
 

Scivolando da un «pastiche» verso un pasticcio
Un'occasione mancata. Non si può definire altrimenti la prima messa in scena italiana di un'opera di Derek Walcott, poeta e drammaturgo caraibico insignito nel '92 del Nobel per la letteratura. L'idea è venuta all'Istituto del dramma Popolare di S. Miniato che, per il consueto appuntamento estivo sulla splendida piazza del paesino vicino a Pisa, aveva scelto un testo scritto da Walcott nel '58 a soli ventotto anni, Ti-jean e i suoi fratelli, affidandone la messa in scena al musicista e regista lirico Sylvano Bussotti.
Ma non è facile fare i conti con la scrittura di questo autore, con quell'articolato pastiche di influenze culturali, di stratificazioni letterarie e di contaminazioni popolari, riflesse in una lingua composita che nasce dalla storia e dalla vita di quella piccola isola delle Antille dove Walcott è nato e dove convivono i segni della colonizzazione inglese e francese con la spiritualità magica e con le tradizioni delle popolazioni locali. E infatti, se la vicenda narrata deriva dallo scrittore Francesco Gerard de Nerval, in essa prende corpo la cadenza di una narrazione favolistica di semplicità popolare, colorata da forti valenze simboliche e dai segni i di antiche superstizioni. Ecco allora i tre fratelli che si battono in astuzia col diavolo; che non a caso è un coltivatore bianco, mentre intorno a loro fanno da coro una serie di animali parlanti.
Peccato che nelle mani di Bussotti il tutto si trasformi in una specie di festa caraibica che sembra invece più simile a un carnevale da liceali con balletti da varietà televisivo. E se vuol essere un gioco di citazioni, non è né divertente né originale. Gli attori trillano, squittiscono e fanno capriole, disperdendo così la forza poetica del testo. Fra questi Remo Girone e Victoria Zinny, perfettamente amalgamati all'insignificante pasticcio d'insieme.
ANTONIO AUDINO, Il Sole 24 Ore 25 luglio 1993




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