La recensione
Attualità della chiesa di Lorenzo
Quello che fu un tempo il desiderio del popolo di conoscere tangibilmente, per immagini o per simboli, le verità della fede e delle vicende evangeliche ed agiografiche, è divenuto oggi aspirazione non già diversa, ma certo più ampia e profonda; partecipazione ad un dibattito che contempli le sottili inquietudini dello spirito moderno, al problema continuamente riproposto di una fede viva ed operante. Al desiderio del popolo, rispose principalmente la liturgia, che è dramma nel senso più completo, dramma al quale popolo e chierici attivamente partecipano, nel dialogo solistico o corale dei responsori, delle antifone, dei salmi: tant'è vero che nella età medievale, dopo alcuni secoli di silenzio, la riscoperta del « fatto » rappresentativo fu legato alla liturgia della Chiesa, allorché nacque il teatro sacro mediante il sopravvento dell'individuo-attore sul canto e sul dialogo collettivo.
Niente di più naturale che oggi, per dare inizio a quel dibattito spirituale, al quale sopra si accennava, dall'azione liturgica si possa partire, alla ricerca di quelle soluzioni per problemi di alto respiro che, sovvenendo la Fede, il fatto drammatico si propone di concretare.
La breve premessa ci è sembrata necessaria per introdurci nell'argomento della "Passione di San Lorenzo", mistero in due tempi di P. David Maria Turoldo, che l'Istituto del Dramma Popolare samminiatese ci ha offerto, per la sua «XIV Festa del teatro», e che abbiamo ascoltato, stasera, solennità di San Lorenzo, sull'alta piazza del Duomo di San Miniato.
San Lorenzo, la gran calura — suona il detto popolare. E tutto, parlando del martire, ci riconduce al fuoco: la calura arroventata dell'estate, lo strumento della tortura del santo, ma soprattutto il fatto che egli può davvero essere considerato « la carità di Dio, al punto più rovente ». Padre Turoldo ha sentito la suggestione del personaggio, la sua attualità in questi nostri tempi di particolare sensibilità nei confronti del problema della povertà spirituale e materiale degli uomini; la sua opera si è proposta di far rivivere il mistero cristiano dell'azione liturgica, punto di partenza per un ampio dibattito, talora crudo talora quasi ispirato, che ripropone la sostanziale attualità della eroica Chiesa di Lorenzo.
Il dramma possiede molti attributi della sacra rappresentazione: un tempo di azione che in sostanza non appare mai reale, dei personaggi simbolici, dei cori che esprimono un sentimento popolare, infine il soggetto che rievoca le vicende di un martire. E tuttavia, a ben vedere, si tratta di un'opera non assimilabile allo spirito delle sacre rappresentazioni medioevali, perché qui non si tratta tanto del dramma dell'uomo di fronte a Dio, non della dialettica fra Dio e demonio, bensì della fedeltà della Chiesa alla sua missione.
Fare dei riferimenti all'Eliot di "Assassinio nella cattedrale", al Fabbri di "Processo a Gesù", è dopotutto pretesa arbitraria; l'opera turoldiana — che la sensibilità ed il particolare senso teatrale di Mario Roberto Cimnaghi ha adattato per la scena senza interferire sul copione, ma compiendo attenta opera di «montaggio» — l'opera turoldiana diciamo, con i suoi lampi e le sue ingenuità, le sue intenzioni e le sue lacune, è opera che possiede indubbiamente caratteristiche proprie, connaturate all'aggressività dell'autore, al suo spirito polemico che impegna a fondo il contraddittore, lo costringe a proseguire fino in fondo l'alto dibattito.
Potremmo dire che la Passione di San Lorenzo è rivissuta dal sacerdote celebrante la Messa, il dì della festività del martire. È l'ansia sacerdotale che assorbe, per così dire, le miserie dei fedeli, del popolo cristiano, che si chiede se una grande speranza non sia stata tradita, se i poveri siano stati sempre considerati davvero i prediletti del Signore. Lorenzo fu Levita e martire per la libertà della Chiesa ed a difesa dei poveri; oggi i derelitti dovrebbero essere nella chiesa, perché questa ne potesse fare «il censimento», e non tutti vi sono, e quelli che vi sono dubitano. E allora a che serve la festa di Lorenzo, se non è vero mistero, se non è realtà che si ripete?
Prosegue la celebrazione della Messa — ed è il canto gregoriano che ne dà, di volta in volta, la misura della progressione — e la «visione» del sacerdote, miracolo di fede, si produce. Partecipe della sofferenza di San Lorenzo, il celebrante legge ai fedeli l'epistola ed il vangelo. Qui, la scena si allarga. Lorenzo è dinanzi a Macriano, ministro delle finanze di Valeriane imperatore. Nel dialogo fra i due — il ministro che si rivolge al tesoriere della Chiesa, al «collega nell'amministrazione dei beni», ed il santo che attende il supplizio e gli va incontro con letizia, nonostante la invocazione dei fedeli di non abbandonarli, — si entra nel vivo del dibattito. Macriano vuole i beni, tutti i beni della Chiesa, per il suo imperatore; Lorenzo oppone che l'unico tesoro della Chiesa sono i suoi poveri, che soltanto quelli può offrire. Altre chiare, sicure risposte ha Lorenzo: che la Chiesa resterà, quale presenza definitiva; che lo Stato è vero Stato soltanto se è nell'ordine di Dio, e cioè strumento del bene. Ora Macriano ordina il supplizio, e Lorenzo vi si avvia benedicendo il Signore. Il mistero cristiano è stato rivissuto durante la Messa; l'ha rivissuto il sacerdote, il quale, al termine, potrà bensì ritornare alla realtà d'ogni giorno, alla sua ansia pastorale — ed il ritorno a tale realtà, così «vero», è come il suggello ad un'opera che non vuol essere edificante nella ristretta accezione del termine — ma certo irrobustito nella convinzione che «ogni tempo è tempo di San Lorenzo».
Dramma di intensa vena spirituale, che possiede una sua forza poetica, felicemente unita, spesso, ad una sorta di mistica sincerità. Qui non siamo in presenza di un solo, grande personaggio intorno al quale tutto agisce come un corollario che ne giustifica il dramma (come accade, invece, per l'eliotiano "Assassinio nella cattedrale"); accanto alla figura del Martire Lorenzo e del sacerdote celebrante, sta la moltitudine dei poveri, dei diseredati, degli umili. I quali dubitano, e accusano, e si sentono traditi, sinché non avvertono la potenza della fede, sinché non sono fatti convinti che la Chiesa «è la speranza delle cose», presenza definitiva del mondo. Si parla, e giustamente, di cori, perché quelle cadenze ora afflitte ora rasserenate hanno un comune denominatore; ma ciascuna voce possiede un suo significato, un suo tormento, ha una soluzione da chiedere. Voci sincere, di spiegato rilievo, che quasi concretano — come dicevamo — l'ansia del sacerdote celebrante.
Tradurre in spettacolo tale opera, e sia pure con l'ordito teatrale perfezionato dal Cimnaghi, presentava enormi difficoltà. Il dramma è soprattutto un conflitto interiore, un alternarsi trepidante di luci e di ombre, un dialogo pur se corale e pur se in possesso di una sua forza letteraria evocativa. Non essendovi praticamente azione, è stato necessario far sì che i movimenti dei cori risultassero accentuati, pur mantenendo una compostezza generica attinente al clima dell'opera.
Il regista Giovanni Poli ha indubbiamente centrato lo spirito della rappresentazione, ed il «concertato» che è stato capace di ottenere depone a favore della sua sensibilità. Nel significativo scenario immaginato da Misha Scandella — una piattaforma composta da un gioco di piani inclinati, culminante con una scalinata e due alte colonne barocche dorate, a contrasto con la severa austerità della facciata del duomo sanminiatese — l'azione scenica si è svolta con commovente rilievo. Le sottolineature del canto gregoriano (la cantorìa era stata posta in alto, sul fondo della scena) hanno fatto come da pietre miliari allo svolgersi della vicenda.
Tonino Pierfederici era il Sacerdote: il suo personaggio si è stagliato solenne e dibattuto, spesso efficace per asciuttezza di accento e di gesto. Vanna Polverosi, la donna che rappresenta quasi la «corifea» della turba, ha saputo trovare accenti particolarmente convincenti; ottimi i tre tentatori: Nino Dal Fabbro, Andrea Bosic, Franco Giacobini. Forse troppo spettacolare nel gesto Lucio Rama; dignitoso araldo, Adalberto Merli.
Dei «gruppi», il più fuso è apparso quello maschile; qualche diseguaglianza si è osservato in quello femminile. Il coro diretto dal maestro Rolando Maselli va accreditato di un'ottima esecuzione.
Lo spettacolo, degno della bella tradizione sanminiatese — una tradizione dalla quale, pensiamo, possono prendere esempio coloro che concepiscono il fatto teatrale nella sua essenza più vera — è stato realizzato alla presenza di un pubblico strabocchevole. Il quale ha ascoltato l'opera con evidente partecipazione, decretandole un successo vivissimo. Applausi ripetuti e convinti al termine di ogni atto, particolarmente al finale.
Hanno assistito alla rappresentazione il senatore Bosco, Ministro alla Pubblica Istruzione; l'On. Folchi, Ministro del turismo e spettacolo, e numerose autorità e uomini di cultura. Era presente anche il Padre Generale dei Servi di Maria.
ARNALDO MARIOTTI Giornale del Mattino, Firenze, 10 Agosto 1960
|