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L'Informatore - La recensione di Bartolo Fornara
 

"Il custode dell'acqua" diventa colui che regola "pace, guerra e ricchezza"
Nella serata di giovedì 22 luglio abbiamo assistito alla 59a Festa del teatro a San Miniato al Tedesco (Pi). Si trattava del dramma, a tinte gialle, Il custode dell'acqua, che Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella hanno tratto dal romanzo omonimo di Franco Scaglia.
L'autore del romanzo, presente alla anteprima giornalistica, aveva affermato trattarsi di una rivisitazione delle fosche vicende del dramma palestinese, dove da decenni si sta combattendo una terribile guerra fra arabi ed israeliani. Ma avvertiva anche, l'autore, che era stata sua precisa volontà quella di mettere a fuoco l'opera meritoria dei Francescani della Custodia di Terra Santa, ed, in particolare, del grande archeologo padre Michele Piccirillo, pure presente alla serata.
Ma cos'è il romanzo Il custode dell'acqua, edito da Piemme, premio Selezione Campiello 2002, premio Super Campiello 2002, premio Un libro per i diritti umani 2003?
Il Custode (e d'ora in poi lo scriveremo sempre con la maiuscola) è di fatto il superiore dei Francescani che, dai tempi dello stesso san Francesco, operano in Palestina, gestendo gli innumerevoli santuari cristiani, ma anche una grossa assistenza a quella povera gente, non importa se cristiana o ebrea o mussulmana, ed operando nella ricerca archeologica e storica.

LA MAPPA DELL'ACQUA
Intervenendo nella conferenza stampa di presentazione del lavoro di Scaglia, messo in scena, anche quest'anno come già nel 2004, per la regia di Maurizio Panici, padre Piccirillo aveva affermato con precisa documentazione: "Se il secolo XX è stato il secolo del petrolio, il XXI sarà il secolo dell'acqua", di questo bene, cioè, che in tante regioni (anche la nostra) tende a diminuire, se non a scomparire, e che in altre, come quelle palestinesi, sarà il vero banco di prova della volontà dei popoli di essere liberi, governati giustamente, ed avviati ad una vita che sia veramente umana.
Ecco allora il grande archeologo, padre Matteo, che si ritrova ad avere fra le mani una antichissima mappa delle sorgenti d'acqua in terra palestinese, per cui il Custode di Terrasanta diventa, in realtà, anche il "custode dell'acqua", riunendo in sé una straordinaria forza, perche può regolare "pace, guerra e ricchezza".
La mappa era giunta al Custode di Terrasanta per vie traverse, ed anche vicine alla superstizione; ma il Custode non era stato in grado di leggerla fino in fondo, mentre il sentore della sua esistenza aveva messo in allarme i servizi segreti israeliani ed arabi, ambedue interessati prima di tutto ad impossessarsene, e poi, naturalmente, a saperla leggere correttamente.
Cosa, quest'ultima, che farà appunto padre Matteo, proprio nel momento in cui diventa Custode di Terrasanta, succedendo al defunto suo predecessore, che la mappa aveva ricevuta e che era riuscito a tenerla nascosta, con l'aiuto di un giovane frate cuciniere, "nel barattolo del sale da cucina", facendo invece credere che era nascosta nel collare di un suo festoso cagnolino.

UN VERO "GIALLO" MA...
Tutto questo, Scaglia ed i suoi adattatori teatrali ce lo raccontano, nel volume e sulla scena, con un seguito di fatti almeno misteriosi.
Ecco, infatti, il Tsomet, una "sezione del Mossad", il famosissimo ed efficientissimo servizio segreto israeliano.
Gli si contrappone uno Sceicco giordano-argentino, forse più affarista che vero indagatore, ma certo ben consapevole del valore di certi documenti antichi, come la mappa dell'acqua, e soprattutto, delle sorgenti di questa.
Naturalmente, romanzo e dramma vogliono anche un infittirsi di incroci: ecco allora la decisione di quattro giovani, di etnie e religioni diverse, che decidono il loro doppio contemporaneo matrimonio, da celebrare con il massimo clamore possibile, così da mettere una piccola pietra per il grande futuro edificio della pace, della convivenza e della tolleranza, in quelle terre dell'odio e della morte. Purtroppo, questo piccolo grande gesto, o, se vogliamo, questo grande piccolo gesto non giunge a compimento per la morte violenta, sia pure in circostanze e per ragioni diverse, dei quattro giovani.
Ed all'interno di questo crocevia dello spirito, anche i due grandi poliziotti contendenti, lo Sceicco e l'uomo dello Tsomet, trovano una loro fine, che sa ancora una volta di morte.

LE INCERTEZZE ISRAELIANE
Un vero giallo, dunque? Si, ma con molte premesse di verità attuali e di nascenti prospettive psicologiche, che ancora pochi anni fa non erano neppure immaginabili.
Quello che, in particolare, colpisce, è l'entrata improvvisa ed assolutamente imprevista di nuovi elementi vitali, specie in campo ebraico, che danno una nota nuova, decisamente umana, alle vicende belliche ricorrenti.
Anzitutto, "il problema dell'acqua: le riserve di Kinneret - che voi chiamate di Galilea - sono fortemente diminuite". Ma, soprattutto, il problema dei giovani israeliani: "Il nostro esercito era giovane e combatteva con il cuore. Poi è accaduto qualcosa. E oggi in quell'esercito ci sono molti giovani che si suicidano o disertano".
Ecco che il "problema dell'acqua" diventa, così, un problema di generazioni che non vogliono più la violenza, la guerra, il sangue, ma la pace, la serenità, la tolleranza, magari anche l'amicizia, come i bambini arabi, che nascondono il "soldato buono" israeliano, che ha disertato.
Così, quella che a primo acchito poteva sembrare una storia di...archeologia, nell'opera di Scaglia diventa prima una storia gialla, poi una storia di sentimenti veri, di verità nuove, di ricerche e di approcci, assolutamente imprevisti ed imprevedibili ancora poco tempo fa.
(Che sia in questo contesto che Sharon sta cercando di iniziare lo sgombero di una parte della striscia di Gaza da parte dei coloni ebrei oltranzisti?).

VERSO LA SPERANZA
Quanto siamo andati dicendo, pur avendo riassunto molto il testo e pur avendo tralasciato molte situazioni, fa emergere dall'opera di Scaglia alcuni elementi, che potremmo così sintetizzare:
1)  la speranza sta risorgendo in quelle terre, e quindi nel mondo intero, dal momento che la cosiddetta "causa palestinese" è uno degli elementi scatenanti del terrorismo internazionale;
2)  questa speranza è in buone mani, perché a gestirla in prima persona sono la Chiesa cattolica con i Frati della Custodia, e la scienza, con l'archeologia e la storia affiancate;
3)  tuttavia, il ritorno alla pace vera non sarà cosa d'oggi, né per la Palestina, né per il mondo intero.
Tutto questo si sente nella 59° rappresentazione sanminiatese, (e, si licet componere, 27a per il sottoscritto).

LA REALIZZAZIONE SCENICA
Anche se (e non se l'abbiamo a male autore, attori e realizzatori) ci sembra che la serata sanminiatese abbia avuto alcune pecche, che ci permettiamo di far rivelare.
Buona l'interpretazione, specie di Maurizio Donadoni (padre Matteo), Renato Campese (il Custode), Carlo Simoni (Saul Bialik), Sergio Basile (lo Sceicco); ma forse troppo "fuori dalla grazia di Dio" in certi momenti, come degli incontri-scontri fra Custode e padre Matteo.
Inoltre, l'inserimento di molti filoni (oltre l'acqua, ecco i quattro giovani, la ricerca della mappa, le vicende argentine, su cui peraltro, noi abbiamo sorvolato), se è richiesto in un libro giallo, diventa dispersivo in una drammatizzazione.
Anche l'audio non sempre è stato all'altezza della situazione, per ragioni (tecniche, naturalmente) che non conosciamo.
Bella, invece, la scenografia di Daniele Spisa, con gli accorgimenti digitali di Carlo Fiorini e Samuele Polistina, ed il movimento a vista dei praticabili.

UNA TOURNEE CON SAN MINIATO?
Ma, soprattutto, entusiasmante la proposta, avviata già nella presentazione del presidente Gianfranco Rossi, e poi raccolta a piene mani dagli addetta ai lavori, in primis dal neo-presidente Fisc mons. Zucchelli e del collaboratore Cei per la cultura, il novarese Gianni Dal Bello: di portare, cioè, il dramma sanminiatesco sulla scena dei nostri teatri di città e di provincia, in una tournée, che, a dire di molti, avrebbe un successo, oggi non facilmente quantificabile.
Giustamente a San Miniato 2005 fu detto: "E' ora che rinasca una cultura cattolica anche nel teatro, anche se la cultura non dovrebbe avere aggettivi".
Noi plaudiamo a questa, da anni attesa, novità, sperando davvero che, oltre alle due Diocesi liguri citate in assemblea, alte chiedano la presenza di questo messaggio sanminiatese.

BARTOLO FORNARA, L'Informatore, 30 luglio 2005




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