La recensione
La Chiesa ha sbagliato alleati?
Nella piazza del Duomo di San Miniato, come ogni anno dal 1947, si è svolta a cura del Dramma Popolare, la festa teatrale che ha reso celebre questo luogo toscano al di là dei ricordi carducciani. Sono dunque dieci anni (l'inizio teatrale di San Miniato coincide con la « tregua d'armi » nel mondo) che il vento della sera — un po' gelido — del colle porta, almeno sulla Toscana, spiriti cristiani e polemici.
L'altra sera, con "Veglia d'armi", Diego Fabbri, scrittore cattolico dei più provati, che dalla polemica arriva alla più legata ortodossia cristiana, è quello, certamente, che più di ogni altro riesce a ottenere larga « licenza dai superiori », è tornato al suo tema fondamentale attraverso un « giallo » di architetture profane. Il tema è questo: venti secoli non sono stati sufficienti al cristianesimo per stabilire l'amore di Cristo sulla terra, e questo per i suoi errori di metodo; però può cominciare da oggi una autentica era cristiana. Può cominciare costruendo la storia e non tentando di modificarla. Ecco il punto. Nel Processo a Gesù Fabbri ha fatto la critica della storia non senza meriti poetici; qui siamo all'« intervento », alla ricerca possibile, del cristianesimo, di diventare protagonista della storia. Non con la violenza o il sotterfugio — s'intende — ma attraverso l'Amore scoperto e profondo. Un Amore che umanamente diventa « distensione », per adoperare un termine politico di riferimento. Costruire la storia! E chi, poi, non ha inteso costruire la storia nell'atto di modificarla? Robespierre, Napoleone, i dittatori del mondo contemporaneo (ho limitato — diciamo — il campo di battaglia) hanno costruito la storia. E gli errori di metodo del cristianesimo non sono mai chiariti dal Fabbri, ma appena accennati; perché la «licenza» di cui s'è detto, non può arrivare al di là di una certa misura senza toccare l'armonia spirituale. Il desiderio di dialogo religioso e terreno di Fabbri si spezza sempre dinanzi a un muro costruito da secoli, giorno per giorno con materiale di sovrumana durezza. E forse il Fabbri vuoi dire, sotterraneamente, in quell'insistito Amore, che la Chiesa ha sbagliato a scegliere i suoi alleati sulla terra e che i poveri sono i suoi alleati veri e non i potenti carichi di armi fisiche. Vediamo da vicino le intenzioni di verità e le ombre di Fabbri in "Veglia d'armi".
Giunto il mondo quasi all'ora dell'Apocalisse, la Compagnia di Gesù pensa di far riunire in una città e in un grande albergo (l'aria di congiura e di clandestinità è un espediente «popolare» e teatrale), alcuni fra i più qualificati suoi rappresentanti per decidere un «piano» che serva alla difesa dal pericolo imminente. Fanno parte del gruppo dei gesuiti, Pedro, spagnolo, Hudson, un negro americano, Farrell, scienziato atomico, pure americano, Stefano, russo. C'è un Direttore del convegno e devono arrivare ancora Alessio e l'incaricato di Roma. Nell'albergo giunge pure un viaggiatore venuto dall'Oriente — ed è Francesco Saverio — mentre il Maìtre del luogo profano è Sant'Ignazio di Loyola. All'inizio del rapporto o dibattito, il russo Stefano (l'oltrecortina) critica l'opera della Compagnia di Gesù in quanto non è riuscita a « fare » la storia secondo i principi del suo fondatore, storia cristiana, naturalmente, oscillando attraverso i tempi nel tentativo di modificarla intervenendo sul potere politico. Concetto rivoluzionario avversato dallo spagnolo Pedro, conservatore. Pedro insiste nella teoria valida dell'intervento e del combattimento aperto. L'atomico afferma che ormai l'uomo politico non conta più e soltanto la scienza deciderà del mondo. Lo scienziato crede in Dio, in virtù delle sue scoperte, ma pensa che domani non sarà più necessaria all'uomo la mediazione di Cristo. Il negro è per l'Amore; e a un certo punto l'occasione di una coppia d'innamorati, fatta entrare ad arte da Sant'Ignazio-Maìtre, nella stanza dei congiurati, gli dà la possibilità di rivelare liricamente questo Amore. Uno « spiritual » nasce dal cuore di Fabbri. La riunione continua. I diversi punti di vista sono lontani dall'armonia spirituale e politica. Pedro pensa che nel suo Paese i gesuiti costruiscono la storia secondo gli insegnamenti di Sant'Ignazio (e qui Fabbri è rimasto in silenzio ed aveva parecchie bocche per parlare). L'inviato di Roma non arriverà (altro silenzio rotto da un telegramma di speranze future); e il Maìtre finalmente esprime la sua conclusione. Questa: che per poter cominciare una nuova storia cristiana è necessaria l'unione di Stefano (russo) con Hudson (negro) e Farrell (americano-atomico). La Spagna è messa da parte e Roma è rimasta nel testo telegrafico. L'Amore di Fabbri è enunciato; ma la sua violenza è frenata dalla prudenza, e qui da un'incertezza di scrittura. Forse è un'opera scritta in fretta e risolta con rammarico (dell'autore, non nostro) nei limiti dell'ortodossia. Un tentativo di opera sociale, comunque, più che religiosa.
Degli attori ricorderemo: Annibale Ninchi, Tino Buazzelli, Augusto Mastrantoni, Arnoldo Foà, Sergio Fantoni, Alessandro Sperlì, Delia Bartolucci. Regia di Orazio Costa: un po' timida e frammentaria sebbene intelligente; forse lo spazio aperto non si prestava a "Veglia d'armi" e Costa ha dovuto subire più che dominare. Scena di Mischa Scandella.
SALVATORE QUASIMODO Tempo, Milano, 1 Settembre 1956
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