Saulo, l'impossibile è realtà
«Il Saulo di Tarso non racconta una storia - spiega il regista Maurizio Schmitz - ma cerca di comunicare un mistero, il mistero della conversione. L'incontro del divino con l'umano, l'incontro del senza tempo con il tempo, è il filo conduttore di tutta l'opera di Milosz ed è il nucleo di questo testo. Nella drammaturgia è stato fondamentale l'inserimento della figura dell'autore in scena. È Milosz stesso che, oramai convertito,vecchio e solo, ripensa a questa sua opera mai messa in scena, e la rivive partecipandovi». E il personaggio di Milosz, portato in scena da un grande Viriginio Gazzolo, attraversa tutta la rappresentazione identificandosi prima col padre di Saulo e Rehob, interpretati rispettivamente dallo stesso regista, Maurizio Schmitz e da Mauro Malinverno, poi con Stefano martire ed infine con la stessa voce di Dio, una voce infantile, quasi folle.
Il tema cristiano dell'idiozia, della purezza assoluta di spirito, diventa la chiave attraverso cui mostrare l'incontro quotidiano che l'uomo ha col divino nei piccoli gesti d'amore, un incontro meno traumatico ma non meno evidente dell'accecamento di Saulo sulla via di Damasco.
La rappresentazione procede rapidamente, la durata è di 1 ora e 20 minuti, con una sinteticità estrema che condensa l'emozione senza nulla togliere alla poeticità del testo. L'uso delle luci, ideate da Cangini e Cervesi Ripa, i costumi e il costante accompagnamento musicale, opera del maestro Ramberto Ciammarughi, accompagnano e sottolineano la parola senza sottometterla. La scena racconta la vicenda umana di Saulo di Tarso prima della conversione, ma in realtà si elabora la scissione interna al personaggio attraverso i contrasti tra due fratelli, Rehob, sensibile, speculativo e attratto dalla nuova fede cristiana e dalla figura mite del Cristo, e Saulo, forte e ferreo nel suo odio per quello che definisce «il bastardo di Maria di Galilea» e per il «folle amore per la povertà e la debolezza» che esso ha diffuso. Dopo il martirio di Stefano Saulo fa arrestare Rehob che ha professato la sua fede cristiana ad ha preso in moglie la schiava egiziana Karommah, a cui da volto e voce Elisabetta Vergani, anch'essa convertita. L'ultimo quadro è scandito dalla voci dei soldati, dal loro brusio che accentua il silenzio meditativo di Saulo, poi l'abbagliamento, reso in scena da una luce sottile nel buio, e la voce infantile di un Cristo bambino che interroga Saulo e lo chiama Paolo.
Pamela Pucci, Il Tirreno, 21 luglio 2001
|