San Miniato, l'anima forte di San Francesco
Per la cinquantaduesima volta è ancora Festa del teatro a San Miniato. Anche se le ragioni per essere in festa questa volta non ci sarebbero. L'istituto del dramma popolare che cura ogni anno nella cittadina del Pisano questa che è tra le manifestazioni più antiche del teatro italiano, è stato privato della sovvenzione ministeriala annuale (ottanta miseri milioni). Perché non è un festival, obiettano al ministero, configurandosi con uno spettacolo solo. E allora c'è solo da sperare in un gesto magnanimo di Veltroni o in una ridefinizione delle motivazioni che stanno intorno all'avvenimento che cambi le carte in tavola, perché altrimenti questo appuntamento che nella sua storia ha messo insieme grandi scrittori, grandi registi e testi per lo più inediti, è destinato a spegnersi. E se San Francesco, quest'anno figura protagonista dello spettacolo di San Miniato, facesse la grazia? Qualcuno qui, sotto sotto, lo spera. Intanto anche il nuovo capitolo con la Festa del teatro è andato in porto. Nel segno del Poverello d'Assisi, si diceva. In scena infatti L'uomo che vide, testo di Piero Ferrero e Krzysztof Zanussi (che firma anche la regia) ricavato dal romanzo dell'autore belga-francese Joseph Delteil, il quale deve qualche stilla di popolarità soprattutto alla sua Giovanna d'Arco del '25 da cui Dreyer ricavò un celebratissimo film.
San Francesco è figura che da sempre suscita interesse tra registi e addetti ai lavori. Rosselini, Zeffirelli, Cavani, i precedenti sono sotto gli occhi di tutti. Così come le insidie di un argomento come questo, basato ulla rilettura della vita del santo. Facile infilarsi nel tunnel dell'agiografia, facile aderire all'immagine da mitologia cristiana dell'anima fragile e pura, esile e povera, con cui si dipinge spesso l'avventura terrena del rivoluzionario scalzo. Invece, sgombriamo subito il campo dagli equivoci, Zanussi i porta sul terreno accidentato della modernità, dove l'incontro con Francesco avviene sul piano della radicalità spirituale. Dove la semplicità smarrita del Poverello si colora di un innocente ribellismo che parla con eguale incisività tanto agli uomini del suo secolo che a quelli che si apprestano ad entrare nel secondo millennio. Supera le barriere dell'agnosticismo e dell'ateismo per rivelare un'anima forte e vigorosa nel suo estremismo evangelico. Zanussi ha qui lavorato con un occhio alle sollecitazioni di un linguaggio moderno, dove non è tanto il messaggio della povertà o la lezione ecologista del Poverello (che pure potrebbe essere una chiave di lettura) a soddisfare le aspettative dello spettatore, quanto, più profondamente, l'aria contestatrice ma ricca di grande spiritualità che traspare da Francesco.
Fresca e frenetica, innamorata dei piaceri della terra, appare qui la vita del santo. Il tono colloquiale, senza barocchismi, incide anche sulla messinscena che Zanussi ha voluto molto aderente ai giorni nostri. La parabola umana e religiosa di Francesco si situa tra il Duecento e i giorni nostri. Un incedere storico diviso in sette stazioni, dal racconto della nascita del santo alla morte e alla sepoltura ad Assisi. Per motore un testimone dei nostri giorni, appunto «l'uomo che vide San Francesco», cui dà i tratti di una contemporaneità misurata un eccellente Carlo Simoni, che come un cronista di oggi, diciamo un conduttore di talk show televisivi, narra, commenta, sintetizza, polemizza con Francesco e colloquia con gli spettatori in maniera pacata, attraversando il nudo palcoscenico posto nella piazzetta del Duomo di San Miniato con la sua inseparabile mountain-bike. Ma anche Francesco è ben «attrezzato». In una delle prime immagini dello spettacolo irrompe infatti in scena in motocicletta, mentre i suoi rivoluzionari seguaci viaggiano anche in Ape-car. Come a dire che Francesco è protagonista di ogni tempo, una figura pronta ad attraversare la sensibilità di ogni uomo con una follia etica che sbalordisce, in una prospettiva temporale in cui si cita fugacemente Freud, Einstein e Lenin e in cui spesso i personaggi si raccontano al passato come se l'urgenza fosse quella di essere presenti «hic et nunc» a rivendicare il proprio bagaglio di modernità. E se i costumi, tranne il narratore in abiti moderni, rimandano all'epoca medievale, le musiche di Andrea Nicolini percorrono tante e tutto sommato appropriate suggestioni: dal mottetto agli accordi di chitarra elettronica, dal gregoriano allo spiritual comprendendo anche una spruzzatina di reggae.
Zanussi lavora con tutto l'armamentario che la piazza suggestiva del borgo toscano gli ha messo a disposizione. Così, dal palcoscenico a pianta centrale partono vie di fuga verso il Duomo, il quale diventa la basilica di Assisi dove riposano le spoglie di Francesco, e i palazzi affacciati alla piazzetta che diventano la dimora di Chiara degli Scifi, poi divenuta santa, in cui si cala Frida Bruno, e di Giacoma dei Settesoli, anch'ella vocata alla santità, il «romanzo d'amore» di Francesco, cui dà volto Sara D'Amario.
Il padre di Francesco, Bernardone, commerciante di stoffe, è un incisivo Maggiorino Porta, mentre efficacissimo e ironico nel restituire la sua personale lezione evangelica è Antonio Pierfederici nella parte del prete di San Damiano. Maximilian Nisi, codino e barbetta, supera brillantemente la prova nel ruolo di Francesco, esibendo la sua giovane esuberanza, un vitalismo virile e selvaggio pieno di accenti e trasalimenti spontanei e contagiosi, messo al servizio di una missione evangelica il cui vero scandalo è il rifiuto delle metafore della Parola a favore di un'interpretazione radicale, estrema, alla lettera. Vitale e spigliato anche il gruppo dei fratelli del Poverello.
Poco meno di due ore di spettacolo, pubblico attento e al termine molto caloroso. Si replica fino a domani.
ENRICO MARCOTTI, Libertà , 21 luglio 1998
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