Perché questa scelta
Nel momento più difficile della occupazione nazista della Polonia, dopo i due « blitz » che, da Occidente per comando di Hitler e da Oriente per comando di Stalin, avevano « cancellato » la geografia della Nazione, cosa rimaneva ancora della « intellighenzija » e della cultura polacca? Le « decapitazioni » avevano rispettato assai poco, e quel poco era ridotto al silenzio. Fu in quella situazione che scattò la molla di una sotterranea resistenza intellettuale gestita soprattutto dai giovani. Tra questi giovani Karol Wojtyla, sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien, o di Piotr Jasien, o di Stanislaw Andrzej Gruda. E fu quella molla a spingere il giovane Wojtyla, meno che ventenne, a « rivistare » la Bibbia di Giobbe e a trascriverla riattualizzata, facendo dell'antico grido di un derelitto il grido suo proprio, della propria gente, di tutte le genti vilipese e oppresse.
Nell'anno dedicato ai giovani dall'ONU non dispiacerà questo ricorso alla drammaturgia di un giovane. Sebbene retrodatata, essa conserva la freschezza quasi adolescenziale del suo autore. Non ha importanza (non ne deve avere) il successivo divenire di quel giovane, ciò che gli è accaduto quaranta e più anni dopo. L'attualità che conta è solo quella del dramma, la sua abbastanza inattesa proposta poetica, la sua capacità d'innesto nella Storia di oggi, di domani. Questa capacità sta indubbiamente a monte, nella Scrittura biblica. Ma qui c'è un giovane che se ne è reso conto, che ha trascritto la Bibbia per il teatro, un teatro di poesia, un teatro di parola, un teatro che forse (a chi non è prevenuto) ha qualcosa da dire. Non è allora, il caso di consegnare questo testo a un regista esperto per verificarne l'eventuale capacità espressiva e scenica?... Non è il caso di chiedere a questo regista di non disattendere né eludere la « originalità » della proposta, ma di capirla, penetrarla, farla propria ed esprimere adeguatamente la « parola »? Accanto a una plausibilità di stile — oltre tutto — non v'è forse in questo Giobbe wojtyliano la forza (giovanile anch'essa) di un grido che sale, nel pieno degli anni '40, da una Nazione tra le più martoriate per opposti invasori, e che sulla propria pelle vive la tragedia del dolorante Patriarca? Non v'è forse il grido delle tante Nazioni ancora oppresse, a tutt'oggi, dai calcagno di un qualche sempre ripullulante despota?
Noi abbiamo voluto fare un omaggio all'uomo colpito dalla sventura, all'uomo che si domanda perché, se innocente, deve soffrire. Questo abbiamo fatto non a caso e non per favorevoli circostanze, ma per scelta consapevole, oculata, talora persino sofferta. Un omaggio all'uomo che conosce il dolore. Perché nel grido di Giobbe abbiamo riconosciuto e raccolto il grido di molti uomini e genti e nazioni: di ieri, di oggi, forse (ahimè) di domani. E abbiamo voluto riascoltare la risposta di Dio a quest'uomo, alle sue sofferenze e alle sue sconcertate domande.
Se il nostro omaggio all'uomo sofferente diventa anche omaggio al pontefice dell'enciclica Redemptor Hominis, quale dopo tanti anni è diventato l'autore del Giobbe, noi ne prendiamo atto con piacere. L'autore è il medesimo, e medesima è rimasta la sua sensibilità e sollecitudine verso le persone e le nazioni colpite da sventura. L'autore del dramma oggi è il pastore dei popoli. Il nostro omaggio all'uomo prende avvio e — inutile dirlo — prende spiegazione da lui.
Marco Bongioanni Direttore Artistico IDP
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