Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
La recensione de Il Tirreno
 

E contro il silenzio Graham Green manda un messaggio di fede cristiana
La mortificazione dell'uomo di fronte all'intolleranza è un fardello troppo pesante per un semplice mortale. Solo una «resurrezione», consente di reagire e vincere il «vuoto mentale» e il silenzio. E' questo il tema de Il capanno degli attrezzi di Graham Greene, rara opera di umanesimo cristiano, presentata l'altra sera in occasione della 41° Festa del Dramma Popolare di San Miniato. Ma il tema di questo «miracle play» — come lo ha definito il regista Sandro Solchi, tornato felicemente al teatro dopo oltre dieci anni — non si propone in modo «apologetico». Non è un pubblico di scolari che il cattolico inglese Greene mostra di cercare, a cui spiegare la sua «conversione». Il capanno degli attrezzi si svolge nella casa di una famiglia di atei, i «Callifer». Il vecchio darwiniano convinto, sta morendo: solo l'interesse di una giovane nipote fa sì che un figlio, escluso dalla famiglia, torni a casa. Comincia da questo ritorno la vicenda di James Callifer alla ricerca dei motivi per cui l'intera famiglia lo considera un «emarginato». Con tocco sapiente, un ritmo scandito quasi poliziesco, Greene svela il segreto del «capanno»: il giovane James, a 14 anni, si era impiccato dopo una violenta lite col padre.
Motivo dello scontro l'avvicinarsi del ragazzo al cristianesimo, sotto la guida di uno zio prete. Ed è proprio il prete a trovare il giovane, a crederlo morto, e a chiedere a Dio la «resurrezione» offrendo in cambio quel che ha di più caro: la propria fede. A Greene non interessa se il miracolo sia veramente avvenuto. Egli però vuole che i suoi personaggi ci credano. Tutti. La vittima James (un bravissimo Carlo Simoni) che riesce finalmente a rompere il muro che lo divide dal mondo, comprende «cosa c'è che non va» in lui. Ci crede il vecchio prete alcolizzato che nell'incontro, angoscioso e liberatorio, col nipote, comprende che la sua preghiera è stata esaudita (Mario Maranzana ha offerto uno straordinario padre Callifer, un umanissimo ritratto della disperazione) Ci hanno sempre creduto, soprattutto la madre di James (Regina Bianchi) ed anche il padre — è lei stessa a confessarlo — ma nessuno dei due ha voluto «accettare» quella prova, abbandonare ogni idea fino ad allora seguita per una realtà così diversa. L'ultimo atto del dramma è una artificiosa pennellata di speranza: James tornerà insieme alla ex moglie, abbandonata molti anni prima, tormentato dai suoi dubbi.
Il Tirreno 18 luglio 1987




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home