La recensione
Una commedia che accusa il peso degli anni
Forse il maggior pregio di Georges Neveux, scrittore avviato al traguardo dei settanta anni, sta nell'insidia che egli costantemente prospetta dietro le parole di suoi stessi personaggi. I quali, inseriti di diritto nella drammaturgia francese, trovano invece i loro ascendenti, almeno per quanto riguarda Querela contro ignoto, nella letteratura russa. Non a caso Neveux, nelle cui vene corre per parte di madre sangue slavo, è nato a Poltava. E non a caso una delle sue aspirazioni di drammaturgo fu il raggiungimento di una comicità capace di improvvisamente rivelare una sostanza tragica. In ciò Neveux, meglio che soggiacere agli influssi di Dostojewskj e di Cecov, sembra subire l'influenza di Gogol.
Questa premessa è necessaria a intendere la vera qualità di Querela contro ignoto, commedia non recente (rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1946, l'anno successivo fu allestita in Italia dal Piccolo Teatro), che l'Istituto del Dramma Popolare ha riproposto in occasione della XXII Festa del Teatro a San Miniato, affidandone la regia a Josè Quaglio il quale l'ha allestita ai margini del sagrato della Piazza del Duomo.
Tema della commedia è la giustizia di Dio, o meglio la iniquità della giustizia divina qualora non si sappia attribuirle altro metro che non sia quello della giustizia umana. Vuoi dire qualcosa che per dibattere un tema di tanta ampiezza Neveux abbia scelto un ambiente estremamente piccolo, la casa del procuratore Ivan e lo abbia collocato in un'epoca, se non proprio remota, lontana dai nostri giorni. Siamo nella Russia zarista, in un clima di fine secolo che nell'euforico e mediocre procuratore favorisce non poche compiacenze. Ivan è a suo modo un uomo felice. Autorevole, onorato, amante della buona musica, buon amministratore della propria vita privata e dotato di una eccellente salute, a Ivan il mondo in cui gli è capitato di vivere sembra ineccepibile. Non già che egli non veda la miseria e le disgrazie di tanta gente e non sappia coglierne i riflessi anche nelle aule del tribunale. Al suo ottimismo basta tuttavia sapere che i reietti non sono abbandonati, che per assisterli si sono creati organismi e istituti le cui statistiche fra l'altro lasciano prevedere una costante riduzione del loro numero.
Ecco tuttavia inserirsi nell'aria un po' pigra e stagnante di tanto ottimismo sei persone per le quali l'esistenza è diventata insopportabile e che della loro infelicità hanno deciso di chiedere conto a Dio. Esse anzi intendono querelarsi in un atto giudiziario vero e proprio che il procuratore Ivan, lo voglia o no, sarà costretto ad accettare.
Ivan, il quale stava per recarsi a un concerto, è dunque costretto ad accettare un atto non previsto dal regolamento giudiziario e del quale egli nemmeno capisce la sostanza. A lui, uomo felice, sembra impossibile che esistano persone indotte dalla propria infelicità a rinunziare all'esistenza. In fondo è naturale ch'egli si adoperi a convincere quei candidati al suicidio (prima quattro e successivamente altri due) a recedere dal loro proposito; ma è altrettanto naturale che i suoi argomenti non riescano a far breccia nell'animo di nessuno. Argomento fondamentale di Ivan è la sua felicità personale, quanto dire la dimostrazione in atto della possibilità di essere felici.
Si sviluppa in tal modo un contrasto, per la verità non tutto ugalmente sostenuto, fra i querelanti e il procuratore. Le infelicità che la commedia raduna sono di specie diverse: c'è il povero di ieri, l'affamato che avendo vinto alla lotteria un milione di rubli non riesce tuttavia a dimenticare la fame patita; ci sono due giovani sposi che dopo un lungo periodo di separazione forzata non hanno ritrovato l'immagine che ognuno si era fatto dell'altro; c'è un marito deluso, incapace di guardare al di là del proprio caso personale; c'è una nonna che avendo perduto il nipotino non sa rassegnarsi alla «iniquità» di quella morte prematura; e c'è una prostituta, una donna di strada la quale ostinatamente rifiuta di rivelare la ragione che la spinge al suicidio.
La confesserà alla fine, quando il procuratore via via celebrando l'elogio della propria felicità si sarà ripetutamente avveduto di esser sul punto di scoprire in sé un vuoto incolmabile. E sarà quel vuoto improvvisamente rivelatosi a tutti, insieme alla notizia che la prostituta sta per avere un bambino (espediente un po' troppo posticcio), a fare intendere ai querelanti la necessità del dolore e a indurii a riaccostarsi alla vita. Uscendo dalla casa del procuratore essi sono convinti di staccarsi da un uomo che aveva creduto di essere felice unicamente perché era più morto dei morti.
Conclusione debole, soprattutto se si pensa che Ivan, personaggio il quale non manca di tratti fortemente pittoreschi, nella redazione originale della commedia si uccide (e non si capisce perché, dal momento che altre infelicità simili alla sua ridiventano per altri ragione di vita). Nella rappresentazione di San Miniato il suicidio palese è stato soppresso, ma la soppressione non ripaga la solitudine di Ivan né attribuisce alla commedia (la quale, pur meritevole di attenzione, non nasconde il peso degli anni) ciò che effettivamente le manca: un respiro profondo e una convinzione autentica, capaci a un certo momento di sopraffare, e magari di contraddire uno schema nella cui meccanicità, insieme ai personaggi, si disperdono le idee.
Querela contro ignoto, allestita all'aperto, sembra richiedere perentoriamente lo spazio più raccolto e meno dispersivo di un teatro chiuso. Ma Quaglio, che si è valso della scena e dei costumi di Titus Vossberg, ne ha tratto ugualmente uno spettacolo equilibrato.
Accanto a Sandro Merli, il quale conferisce al procuratore Ivan una corposa evidenza, hanno ben recitato Alessandro Sperlì, Mino Belici, Bruno Girino, Gina Sammarco, Rosetta Salata e Anny Girola. Scilla Gabel è una prostituta apprensiva e sensibile, e ciò giustifica la esilità della sua voce.
Molti applausi.
RAUL RADICE, Corriere della Sera, Milano, 11 Luglio 1968
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