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Il Tirreno - La recensione di Gianfranceschi
 

Dramma, piace il piccolo Alì
Un ragazzino, pardon un promettente attore di 7 anni e mezzo - Federico Orsetti, nella parte di Ali - tiene la scena dall'inizio alla fine ne I Templari, il dramma popolare che si replica fino a mercoledì prossimo in piazza del Duomo (biglietto unico, 15 euro). È figlio d'arte, e ovviamente nel cast c'è anche il padre, Massimo, che aggiunge con ammirazione: «Sul cartellone ha il nome più grande del mio». Il personaggio del ragazzino - un turco cristianizzato, che invoca in litania «Gesù-Gesù, Allah-Allah» quando c'è da pregare - potrebbe essere dei nostri tempi.
«Anche i Templari sono attuali, con l'assemblamento di capitale e lavoro - ha illustrato in conferenza stampa l'autrice del testo, Elerta Bono - finché non diventa potere e ricchezza e suscita invidie. Dio è Dio, gli uomini sono quel che sono».
Il primo tempo dello spettacolo appare prolisso nel lungo contrasto, con ridondanza di riferimenti storici, tra lo spietato Uomo Nero (Umberto Ceriani) e il precettore templare (Marco Spiga). Quanti si saranno riconosciuti nello scudiere Rocco da Sezze (Massimo Foschi, il protagonista) quando dice che «i padroni sono sempre padroni, anche se Templari» e che «per salvare la pelle, confesserebbe anche quel che non sa». A sua volta contrasta con La Gisa, una "talebana" cristiana (Maria Elena Camaiori) desiderosa di morire per la fede e che rinuncia a salvarsi. È figlia del Pocapaglia (Gabriele Carli), che ha tolto l'innocenza a lei e all'altra figlia, La Tota (Silvia Pagnin) che però non sembra essersela presa troppo. Ed è l'unica che riesce a salvarsi dal rogo perché in qualche modo ha saputo. Il novizio templare Amadeus da Tindari era già spirato. Brava anche il soprano Sophie Elert, con la musica dal vivo e i figuranti - tra cui Carlo Mondatori e Massimo Pinna - nonché i cantori della corale monsignor Balducci: Piero Alderighi, Cristiano Benedetti, Simone Faraoni, Sandro Innocenti, Alessandro Tozzi, Matteo e Simone Venturini. La regia è di Pino Manzari.
Luciano Gianfranceschi, Il Tirreno, Fucecchio, 20 luglio 2002




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