Viaggio di fantasmi
Come succede ormai da tanti anni, gli organizzatori della festa di teatro che si svolge alla metà di luglio in uno dei luoghi più suggestivi della Toscana, hanno avuto la mano felice. Scovando fra le pieghe della scena inglese, un testo di Greene andato in scena nel '57 a New York, e da noi rimasto sempre in ombra. Vuoi per la notoria pigrizia che affligge i nostri impresari (quelli pubblici hanno ormai meno coraggio dei privati), vuoi per la diffidenza che da sempre esiste nei confronti del repertorio a sfondo religioso.
Eppure il nome del grande romanziere inglese avrebbe dovuto rappresentare una sorta di garanzia, dato che assai di rado la sua intelligenza e il suo mestiere hanno mancalo il bersaglio. A far giustizia di una colpevole dimenticanza hanno provveduto finalmente gli organizzatori locali e Sandro Balchi, regista che conosce come pochi l'arte di far spettacolo, aiutato da un istinto che per certi aspetti ha del magico. Stavolta nel mettere in scena The Potting Shed, divenuto in lingua italiana Il capanno degli attrezzi (il merito della funzionale traduzione spetta ad Alvise Sapori), ha saputo mantenersi in equilibrio fra la cifra del "giallo" e quella del "miracle play", sfruttando con grande bravura la piazza davanti al duomo. Infatti per arrivare dal nodo dell'investigazione alla scoperta del miracolo talora presente nella vita degli uomini, ha impresso alla recitazione degli attori il carattere di un lento ma inarrestabile viaggio in direzione della coscienza, che proprio nell'istante dello smarrimento ravvisa le tracce di una forza superiore che per gradi si rivela al fianco dell'uomo nelle situazioni più impreviste, strane, inquietanti.
Senza bisogno di ricorrere a forzature, è lecito affermare che Bolchi ha saputo far vibrare la corda della grazia in modo lineare, semplice, dimesso, e nello stesso tempo sorprendente, imprevedibile, avvincente, trasformando in elemento attivo del testo addirittura lo spazio che aveva a disposizione. Una impresa, a ripensarci, tutt'altro che facile, specie per un regista che in passato non aveva mai fatto mistero della sua scarsa disposizione all'evento scenico giocato fuori dai normali luoghi deputati.
Una volta reso omaggio all'importanza del suo ritorno dopo lunga pausa (all' incirca una decina d'anni) alla regia teatrale, ed alla sapienza con cui ha saputo mescolare le carte di un intreccio assai scabroso, non privo d'una sua carica attualistica, è doveroso forse accennare alla vicenda, che prende l'avvio dalla morte di un vecchio signore inglese, acceso sostenitore della teoria di Darwin, intorno al quale fa corona l'intera famiglia. Fatta eccezione per un figlio responsabile di ombre che hanno pesato sulla giornata umana del patriarca risucchiato nelle spire del materialismo. Anche lui però, se pure in ritardo, si affaccia alla ribalta, e da quel preciso istante tutte le luci si concentrano sul suo volto, fino al momento della "rivelazione", cioè dell'incontro con lo zio. Uno stravagante sacerdote che nello scoprire a suo tempo il nipote in coma, ha restituito a Dio la sua fede in cambio della vita di James.
Un episodio sul quale dopo il breve smarrimento dei protagonisti, scende l'assoluzione del gruppo famigliare, capeggiato dalle donne. Raccontata alla meglio la trama, va aggiunto che un meccanismo scenico imperniato sulla vendita dell'anima a Dio per il fine di ottenere la vita di un innocente, era fatale si trascinasse dietro, come è facile intuire, problemi d'ogni genere. Per fortuna Sandro Bolchi li ha risolti tutti, o quasi, spalleggiato da un gruppo di attori che hanno saputo calarsi con efficacia nei panni dei loro personaggi (vanno elogiati in blocco, da Carlo Simoni a Regina Bianchi a Mario Maranzana a Margherita Guzzinati a Giorgio Bonora a Rina Franchetti a Micaela Giustiniani ad Enrico Baroni a Sergio Fiorentini), nonché da uno scenografo e costumista capace di unire la fantasia al gusto, Aldo Buti. Applausi, chiamate.
G.A. CIBOTTO, Il Gazzettino 21 luglio 1987
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