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La Nazione - La recensione di Carlo Baroni
 

Tra abbandoni e slanci d'amore Gazzolo spiega il mistero di «Saulo»
Da tempo Saulo di Tarso stava in attesa di essere rappresentato. Ma proprio per la complessità della scrittura, non semplice ma teatralissima, dalla corposità materica di altissima letteratura, Milosz ha dovuto aspettare che il Dramma Popolare tornasse a confrontarsi con lui — come nel 1962 per quel Miguel Manara di Orazio Costa — dandogli i suoi interpreti e il suo regista. E l'invenzione libera, generosa e limpidissima della trasformazione di Saulo in Paolo, diventa teatro, in un addensarsi di sentimenti e un aleggiare di sogni premonitori assai più coinvolgenti della situazione spesso labirintica e a tratti ipnotica in cui le scelte registiche di Schmidt (che interpreta Saulo) costringono i personaggi. In quattro quadri, lo spettacolo propone tutto d'un fiato la figura di Saulo, la sua infuocata vendetta, la sua determinata rabbia e la misteriosa caduta da cavallo. La scena scarna di Emanuela Pischedda è funzionale ad una messinscena tutta catalizzata dalla bella interpretazione di Virginio Gazzolo, efficace trasposizione di Milosz, che tra abbandoni e slanci d'amore, nel drammatico intreccio di destini e passioni, rende gobile la rappresentazione del mistero Paolo. Appluasi «bagnati» e di rito. Repliche fino al 24.
Carlo Baroni, La Nazione, 21 luglio 2001




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