In quella famiglia si fa l'amore a tre
1785, un castello francese. Il conte ha una bella moglie, ma è impotente per ferita; la donna è concupita, invano, dal di lui fratello minore. Sopraggiunge però un terzo fratello, anzi fratellastro, dei due, gran dongiovanni ai suoi tempi, ma poi, per cinque anni, frate. Abbandonata la tonaca quando si è scoperto ancora schiavo del proprio erotismo, questo Pierre vuole ora sedurre la cognata, e ci riesce. Geloso, il fratellastro scapolo lo fa ammazzare da sicari. Lei a questo punto vorrebbe farsi monaca, ma il marito glielo impedisce, ribadendo i suoi diritti, e ora ammettendo il fratellastro superstite a membro di un sinistro «ménage à trois».
Sembra la trama di un feuilleton, ma negli anni 1950 Julien Green, cercando di coniugare il cinismo di un Laclos con certe problematiche cattoliche di allora, quando il libertinaggio sembrava chissà perché il peccato supremo, vi impiantò sopra un verboso dibattito tra Bene e Male: Pierre si è consegnato orgogliosamente al «Nemico» del titolo, Elizabeth è una libera pensatrice che quando sceglie il peccato crede di farlo con lucidità. La traduzione di Roberto Buffagni, molto ricalcata sulla lingua originale, non fa che accentuare la polverosità della tematica. Proponendo questo testo forse insalvabile alla sessantunesima Festa del Teatro di San Miniato, il giovane regista Carmelo Rifici ha tentato di ravvivarlo tagliandolo (adesso dura «solo» due ore e mezza intervallo compreso) e imponendo, agli interpreti, ogni tanto, incongrui balletti meccanici (marionette sono, altro che libero arbitrio!). Inoltre i costumi settecenteschi, insolitamente mesti per uno spettacolo italiano, diventano via via abiti moderni, sì, proprio come nei recenti Goldoni di Lluis Pasqual e di Luca De Fusco. Elisabetta Pozzi, Tommaso Ragno e gli altri obbediscono diligentemente e consegnano con chiarezza, microfonatissimi, le loro sterili per quanto enfatiche elucubrazioni.
MASOLINO D'AMICO, La Stampa 25 luglio 2007
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