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La Gazzetta del Mezzogiorno - La recensione di Paolo Fallai
 

Bolchi «rilegge» la fede di Greene
La mortificazione dell'uomo di fronte all'intolleranza è un fardello troppo pesante per un semplice mortale. Solo una resurrezione, consente di reagire e vincere il vuoto mentale e il silenzio.
E' questo il tema de Il capanno degli attrezzi di Graham Greene, rara opera di umanesimo cristiano, presentata di fronte ad una platea entusiasta, in occasione della 41° Festa del Dramma Popolare di San Miniato. Ma il tema di questo «miracle play» — come lo ha definito il regista Sandro Bolchi, tornato felicemente al teatro dopo oltre dieci anni — non si propone in modo «apologetico». Non è un pubblico di scolari che il cattolico inglese Greene mostra di cercare, a cui spiegare la sua «conversione».
Il capanno degli attrezzi si svolge nella casa di una famiglia di atei, i Callifer. Il vecchio «darwiniano» convinto, sta morendo: solo l'interesse di una giovane nipote fa si che un figlio escluso dalla famiglia, torni a casa. Comincia da questa ritorno la vicenda di James Callifer alla ricerca dei motivi per cui l'intera famiglia lo considera un emarginato. Con tocco sapiente, un ritmo scandito quasi poliziesco, Greene svela il segreto del capanno: il giovane James, a 14 anni, si era impiccato dopo una violenta lite con il padre: motivo dello scontro, l'avvicinarsi del ragazzo al cristianesimo, sotto la guida di uno zio prete. Ed è proprio il prete a trovare il giovane, a crederlo morto, e a chiedere a Dio la «resurrezione», offrendo in cambio quel che ha di più caro : la propria fede.
A Greene non interessa se il miracolo sia veramente avvenuto, vuole però che i suoi personaggi ci credano, tutti. La vittima James (un bravissimo Carlo Simoni) che riesce finalmente a rompere il muro che lo divide dal mondo, comprende cosa c'è che non va in lui. Ci crede il vecchio prete alcolizzato che nell'incontro, angoscioso e liberatorio, col nipote, comprende che la sua preghiera è stata esaudita (Mario Maranzana ha offerto uno straordinario padre Callifer, un umanissimo ritratto della disperazione). Ci hanno sempre creduto, soprattutto la madre di James (Regina Bianchi) ed anche il padre — è lei stessa a confessarlo — ma nessuno dei due ha voluto accettare quella prova, abbandonare ogni idea fino ad allora seguita per una realtà cosi diversa.
L'ultimo atto del dramma è una artificiosa pennellata di speranza: James tornerà insieme alla ex moglie, abbandonata molti anni prima, tormentato dai suoi dubbi. Ma Greene aveva già detto tutto (al regista Bolchi il pubblico ha riconosciuto il merito di aver allestito uno spettacolo misterioso e affascinante nella suggestiva piazza di San Miniato): «io non voglio Dio, io non amo Dio — è il ritmo scandito nelle menti —. Ma lui è qui —... è inutile fingere».

PAOLO FALLAI, La Gazzetta del Mezzogiorno 18 luglio 1987




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