Il «Giobbe» di Karol Wojtyla a San Miniato
[...] Wojtyla ha scritto Giobbe (ispirandosi, come è ovvio, all'omonimo libro della Bibbia) nella quaresima del 1940, quando non aveva ancora vent'anni. La situazione della Polonia era quella di una terra contesa da eserciti rivali. Il futuro Pontefice, allora studente, non aveva ancora compiuto in maniera definitiva la sua scelta di vita, anche se la vocazione sacerdotale andava maturando dentro di lui, come una lettura attenta del dramma non manca di suggerire. Nel frattempo egli divideva le sue giornate tra una cava di pietre, dove era stato reclutato come operaio dagli occupanti nazisti, e lo studio serale presso la sua parrocchia di residenza, a Crocavia, retta dai Salesiani. In quelle circostanze dense di contrasti si sviluppò l'interesse del giovane Wojtyla per la poesia e il teatro. Più tardi, il suo impegno teatrale si sarebbe ulteriormente precisato con l'inserimento nel gruppo del Teatro Rapsodia) diretto da Mieczyslaw Kotlarczyk. Parlando del Giobbe di Wojtyla, il regista polacco Krzysztof Zanussi,
che ha firmato la supervisione dello spettacolo di San Miniato, così si è espresso:
« Il testo è stato scritto in tempo di guerra da un autore giovane, dotato di cultura letteraria, e si inserisce nella tradizione romantica del teatro della parola; un teatro, cioè, che privilegia l'espressione lirica piuttosto che l'azione drammatica. Ma il contenuto di questo testo, che verte sul rapporto problematico tra la sofferenza umana e la giustizia divina, riguarda temi che si ritrovano anche nelle opere più mature, scritte dallo stesso autore, e nel suo pensiero pdù direttamente religioso, espresso con mezzi non artistici. Si possono così riconoscere in questo testo preoccupazioni che sono presenti nell'intero messaggio del Papa attuale. Probabilmente ciò deriva dall'esperienza vissuta da Wojtyla negli anni della guerra. Noi polacchi siamo forse più sensibili di altri alla sofferenza collettiva, a motivo della grande ingiustizia storica della quale il nostro Paese è stato vittima per secoli ».
Di Giobbe di Wojtyla, col suo alternarsi di momenti solistici e interventi corali, ha un'andatura da dramma liturgico e potrebbe essere paragonato alle sacre rappresentazioni che nel Medioevo si recitavano davanti alle facciate delle cattedrali. Dall'inizio alla fine dell'azione scenica Dio è presente come antagonista di Giobbe, anche se tale presenza è suggerita con mezzi indiretti piuttosto che direttamente rappresentata. Un confronto minuzioso tra il testo scritto da Wojtyla e il libro biblico al quale si ispira ci porterebbe lontani dal nostro intento. Basti qui accennare che, pur nella sua sostanziale semplicità, il dramma giovanile del Papa si muove su tre distinti piani spaziotemporali: il tempo fuori del tempo nel quale è ambientata la narrazione originaria; i riferimenti al momento storico nel quale il testo è stato composto; l'evocazione, tra profezia ed evento, dell'azione redentrice di Cristo, che è nel contempo anticipazione del giudizio di Dio sulle vicende del mondo.
« Giovanni Paolo II — dice ancora Zanussi — è un personaggio che presenta aspetti molto diversi. Egli ha iniziato la sua attività come artista e come autore di testi teatrali e poetici. Solo in un secondo momento ha pensato di trasferire il suo messaggio dalla creazione artistica alla missione religiosa. Credo che la sua vocazione si sia presentata all'inizio come una scelta tra l'arte e il servizio sacerdotale. E' questo un fatto importante per capire la sua personalità. Si tratta di un uomo che aveva almeno tre possibilità nella vita. Aveva la possibilità dell'attività artistica; un campo nel quale ha conseguito i primi successi e dove si vede che aveva molto da dire. La seconda possibilità era rappresentata dall'elaborazione di un pensiero originale nel campo dell'etica; un'opera alla quale avrebbe potuto dedicarsi a fondo se non fosse stato preso da impegni apostolici sempre più impegnativi. La terza possibilità, che ha finito col diventare preminente, è quella del Pastore. Mi sembra tuttavia ohe egli sia riuscito a combinare, in un certo senso, tutte e tre queste possibilità della sua vita, ed è ciò che fa del suo caso qualcosa di unico ».
Zanussi, il quale ha avuto modo di approfondire la conoscenza della complessa figura del Papa in occasione della realizzazione di quella sorta di biografia cinematografica di Giovanni Paolo II, che è il film Da un Paese lontano, non si discosta dal vero quando coglie una continuità tra il dramma giovanile rappresentato a San Miniato e le linee portanti del magistero attuale del Pontefice.
Aleksandra Kurczab e Zanussi, rispettivamente regista e supervisore dello spettacolo samminiatese, hanno inventato uno spazio scenico ricavandolo dal lato lungo e leggermente convesso della storica piazza del Seminario, un palcoscenico naturale, esteso un centinaio di metri, che non era mai stato adibito in precedenza a tale uso. Si tratta di una strada (affiancata da uno spazio normalmente destinato a parcheggio per le automobili e trasformato in platea per l'occasione) sulla quale si affacciano case medievali, traforate da scalinate che si inerpicano verso la superiore piazza del Duomo. Uno spazio di questo genere non può essere adeguatamente sfruttato se non ricorrendo a mutevoli giochi di luce e a effetti di suono stereofonico. E' ciò che i realizzatori dello spettacolo hanno fatto con l'aiuto di' una squadra di tecnici provenienti in parte dall'ambiente del cinema, tra i quali il direttore delle luci, Slavomir Idziak, collaboratore di Zanussi in molti film.
Il primo elemento a essere valorizzato da una siffatta impostazione è, per l'appunto, la strada con tutta la carica di riferimenti simbolici che porta con sé. La strada, luogo di passaggio e d'incontro, può infatti simboleggiare tanto il destino di un individuo quanto la sorte dell'intera umanità. Per la strada passa il cantastorie che narra, accompagnandosi con la chitarra, la vicenda di Giobbe, antica e nuova come il mondo. Per la strada passa Eliu, l'inviato del Signore, ohe lancia al vento la sua parola come un seminatore il buon seme. Sulla strada si affaccia la casa di Giobbe, uomo ricco e giusto, davanti alla quale passano mendicanti e venditori ambulanti, lavoratori e sfaccendati, che mimano i gesti della loro quotidiana fatica o del loro quotidiano perditempo.
Altri elementi che ottengono un singolare rilievo in questa messinscena sono il vento, l'acqua e il fuoco, che si rovesciano con violenza sui beni di Giobbe riducendolo in miseria. A proposito dei trucchi impiegati per ottenere questi effetti è stato detto che sono più da cinema che da teatro, ma si deve tener conto del fatto che nel cinema il vento lo si fa, per lo più, col vento, l'acqua con l'acqua e il fuoco col fuoco, anche se prodotti e incanalati con accorgimenti particolari. Così è stato fatto a San Miniato. L'impressione che lo spettatore riceve è quella di uno spettacolo basato su un solido impianto realistico, materializzato di cose concrete, ben visibili e quasi tangibili nella loro corporeità, sulle quali si appoggia un non meno solido discorso simbolico, esemplare per chiarezza e didascalica trasparenza.
Zanussi e i suoi collaboratori sanno molto bene che il linguaggio delle immagini, chiamato a integrare quello delle parole nel corso di una rappresentazione teatrale, gode di un'ampia sfera di autonomia rispetto al testo scritto e recitato. Da questa costatazione è partito il lavoro di « adattamento scenico » compiuto dalla Kurczab. Il testo, di per sé non lungo, è stato sfoltito con ampie sforbiciate e ridotto all'essenziale. Un gruppo di mimi, che si affiancava agli attori, aveva il compito di rendere espliciti i riferimenti all'attualità che nel dramma del giovane Wojtyla sono accennati in maniera allusiva. Tali riferimenti sono stati inoltre spinti dai realizzatori dello spettacolo fino ai nostri giorni. La strada che, come si diceva sopra, costituisce l'idea base della messinscena, offre la possibilità di veder succedersi, con ritmo da cinematografo, scene di violenza ambientate ai nostri giorni. Ecco irrompere dunque un'orda rumorosa di motociclisti che si abbandonano ad atti vandalici; ecco la Renault rossa che reca nel portabagagli il corpo crivellato dell'on. Moro; ecco gli assassini di don Popieluszko, che si affrettano a occultarne il cadavere gettandolo in qualche remota discarica. Si tratta, come è facile intuire, di « Giobbi » moderni, il cui saorificio non cessa di riproporre con straziante attualità l'interrogativo che risuona nella Bibbia: « Perché soffre l'innocente? ».
Sul finire del dramma appare Eliu (un giovane dal volto luminoso, scelto da'! Signore, ispirato dallo spirito profetico, vestito di una bianca tunica, il viso incorniciato di capelli ricciuti). Nelle sue parole risuona la divina Sapienza, che scioglie l'enigma e pronuncia il giudizio definitivo sulle vicende degli uomini. Col suo sguardo profetico egli squarcia le nebbie che avviluppano le menti umane. Egli vede l'uomo dei dolori (centro e fulcro della storia). L'evocazione della Passione di Cristo, colta nei suoi momenti essenziali, è contrappuntata da immagini nelle quali si concretizzano le parole di Eliu. Sono frammenti di una sacra rappresentazione che collega visivamente e concettualmente quest'azione scenica alle origini stesse del teatro cristiano e fa rivivere una tradizione che in questo luogo ha radici profonde.
Dal sacrificio di Cristo trae senso, nella visione della fede, ciò che al di fuori di tale visione non ne ha, né nel destino dell'individuo colpito dalla sventura (che potrebbe sembrare lo zimbello di una cieca fortuna), né nei corsi e ricorsi della storia (da dove si leva una richiesta di giustizia sempre rinviata e mai attuata pienamente sulla Terra). Solo Cristo « grazie al Dolore erige il Nuovo, e ingrandisce quello che era vecchio ». E' questo il significato espresso nel dramma del giovane Wojtyla. « Dal Dolore s'innalza la Legge Nuova ». Per dirla ancora con Zamussi: « Questo testo mostra l'evidenza di un'alternativa. Se non c'è una prospettiva metafisica, se non c'è una trascendenza religiosa, l'altra possibilità che rimane è il concetto che il mondo è assurdo, e per conseguenza la nostra vita e il nostro destino sono anch'essi assurdi ».
Virgilio Fantuzzi La Civiltà Cattolica, Luglio 1985
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