Tanti episodi non fanno un unico testo
Consacrata come di consueto al Teatro dello Spirito, la Festa di San Miniato propone quest'anno l'adattamento, firmato da Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella, del romanzo di Franco Scaglia Il custode dell'acqua il cui tema riguarda la tolleranza o meglio l'intolleranza reciproca delle tre religioni nell'odierna Gerusalemme. Al centro della vicenda c'è il progetto, frustrato, di un duplice matrimonio dimostrativo tra coraggiosi giovani di fedi diverse, progetto al quale si intreccia la ricerca affannosa di un antichissimo documento che potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza per stabilire le credenziali storiche del primato nella zona di una delle sette contendenti. In entrambe le iniziative si trova coinvolto con funzioni di testimone ma anche di investigatore un frate francescano, Matteo, il cui racconto a posteriori è indirizzato al defunto Custode dell'ordine in Terrasanta il cui posto, si apprenderà alla fine, è stato chiamato a ricoprire. Gli adattatori hanno reso un cattivo servizio al romanzo dando per scontato che gil spettatori, conoscendo il libro, non abbiano bisogno di troppe spiegazioni. Vediamo padre Matteo reclutato successivamente da due ambigue autorità - il Custode e poi un capo del Mossad - le quali entrambe gli affidano o tentano di affidargli incarichi non ben specificati: aspettiamo di saperne di più, ma poi ci troviamo invece ad ascoltare, mettiamo, la ricetta per la preparazione di un buon arrosto di cinghiale. Più che un testo teatrale insomma abbiamo una sequela di episodi singolarmente validi, ma collegati da un filo che ci sfugge, come brani di un serial televisivo; con tutto il peso della narrazione e dei racconti sulle spalle peraltro robuste di un infaticabile Maurizio Donadoni. Ciò nulla toglie alla bontà della realizzazione diretta da Maurizio Panici dentro un ammirevole impianto scenografico di Daniele Spisa, mobile e ravvivato con proiezioni, con eccellenti caratterizzazioni specie da parte di Rentao Campese (il Custode) e Carlo Simoni (l'infido Saul Bialik). Due ore abbondanti, applausi. Fino al 27.
Masolino D'Amico, La Stampa, 24 luglio 2005
|